La campagna dell’Opera di promozione dell’alfabetizzazione nel mondo per i bambini di strada

Catastrofe educativa
che va combattuta

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10 dicembre 2020

Oltre 250 milioni di bambini, dai cinque ai quindici anni, hanno come unico luogo di vita la strada. Un’emergenza in crescita nelle metropoli e nelle periferie delle principali città dell’Asia, dell’Africa e dell’America latina, resa ancor più drammatica dalla pandemia di covid-19 che sta colpendo la già fragile economia dei Paesi poveri. Per questo, l’Opera di promozione dell’alfabetizzazione nel mondo (Opam), in occasione della Giornata mondiale dei diritti umani, ha lanciato la campagna di Natale «Abbracciamoli tutti»: tramite donazioni si può assicurare ad ogni bambino un pasto completo oltre a materiale didattico, istruzione scolastica e un “maestro di strada” che li raggiunga nelle vie per dare loro la formazione necessaria. «Alla fine di questo anno di grande prova per tutta l’umanità, scossa dalla terribile pandemia che ancora non siamo riusciti a debellare — spiega il presidente dell’Opam, don Robert Kasereka — più che mai l’Avvento è un tempo speciale per accompagnarci verso quella revisione di vita che può restituire al Natale il suo senso più profondo, l’importanza di iniziare a camminare insieme verso un nuovo umanesimo: un umanesimo della fragilità che ci porta a vivere da fratelli perché consapevoli che solo insieme possiamo costruire un mondo migliore per tutti». Precarietà e incertezza che la nostra società sta vivendo a causa del coronavirus, in altre zone del mondo sono condizioni di vita quotidiana, con la differenza, precisa il sacerdote, «che la nostra esperienza di privazione passerà con la pandemia mentre per gli ultimi del mondo non c’è alcuna seria previsione di riscatto a breve o medio termine».

Il fenomeno passa troppo spesso sottotraccia, aggiunge don Kasereka, senza avere la dovuta risonanza mediatica data la sua gravità: basta andare in città come Kinshasa, nella Repubblica Democratica del Congo, a San Paolo del Brasile o a New Delhi in India per rendersi conto di quanti minori sopravvivono, è il caso proprio di dirlo, in condizioni inumane e pronti a tutto pur di sfuggire alla povertà. In Colombia li chiamano gamines de la calle, in Brasile meninos de rua, in Africa enfants de la rue o street children. Quello che cambia però è solo il modo di definirli, non la gravità del problema. Vederli frugare nell’immondizia nei pressi dei mercati o nelle discariche per procurarsi il cibo, spesso anche rubando, o dormire ammassati in scatole di cartone e mucchi di rifiuti, nei cimiteri, nei parcheggi, nelle stazioni è un colpo che trafigge il cuore ogni giorno. I più fortunati vivono nelle baracche abbandonate. Tra di loro sono molto diffuse la malaria, la tubercolosi, la scabbia, i vermi, l’epatite, l’aids e sintomi gravi di malnutrizione. Poiché sulla strada vige la legge del più forte, sono violenti e rissosi. Fermano i morsi della fame e i dolori dell’anima sniffando colla. Specialmente le bambine, ma anche i bambini, subiscono abusi di ogni genere e spesso finiscono per prostituirsi già a sei anni. «Eppure — afferma il sacerdote — sembra che siano invisibili, ignorati da gran parte della gente che li incontra, fuori dalle politiche sociali, dall’interesse di giornali e mass media e quindi fuori anche dal dibattito pubblico».

Uno dei modi per sconfiggere la povertà è la scuola, sottolinea il presidente dell’Opam che, impegnata fin dalla fondazione sul fronte dell’educazione e dell’istruzione, negli ultimi anni sta vivendo un’esperienza ulteriore di prossimità e di vicinanza in questo campo nei confronti dell’infanzia abbandonata, in totale sintonia con gli insegnamenti di Papa Francesco. Purtroppo l’emergenza sanitaria ha provocato la chiusura di molti istituti nei Paesi del terzo mondo, un colpo durissimo che ha fatto perdere a oltre dieci milioni di bambini la possibilità di recarsi nelle aule e di ricevere un pasto, facendoli finire in strada a cercare il modo di sopravvivere e aumentare il misero reddito familiare.

di Rosario Capomasi