In Pakistan la Chiesa è impegnata con le organizzazioni della società civile

Azioni comuni
a tutela della dignità calpestata

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10 dicembre 2020

«I diritti umani sono calpestati in Pakistan soprattutto a causa dell’estremismo e del fanatismo religioso, che viola diritti come la vita, la dignità, la libertà, l’uguaglianza»: lo racconta a «L’Osservatore Romano», con una vena di preoccupazione e di inquietudine, padre Qaiser Feroz, quarantottenne frate cappuccino pakistano, direttore di Radio Veritas in lingua urdu e segretario esecutivo della Commissione episcopale per le comunicazioni sociali. In occasione della Giornata internazionale per i diritti umani, il 10 dicembre, numerosi leader delle Chiese cristiane, accanto a membri di organizzazioni non governative e a leader politici e sociali, hanno proclamato in Pakistan una “Giornata nera per i diritti umani”, mettendo in luce le criticità e le sfide che si registrano nella nazione, quanto al rispetto dei diritti inalienabili della persona.

Alla radice di tutti i mali, padre Feroz, parroco a Lahore, individua una mentalità impregnata di fanatismo che genera intolleranza religiosa e lede i diritti di molti: «I gruppi estremisti religiosi usano i social media ma anche i pulpiti delle moschee e delle madrase (le scuole islamiche) per diffondere odio e intolleranza che avvelenano la società. Questa propaganda rende difficile per il governo promuovere la pace e lo sviluppo di tutti». Come accaduto in passato, in diversi frangenti della vita nazionale, «con un annuncio gli estremisti possono radunare migliaia di persone, paralizzare la vita delle città o anche delle istituzioni. La loro influenza sulla vita pubblica è tuttora forte e preoccupante», nota.

Il religioso francescano riconosce che l'estremismo, spesso generatore di violenza terrorista, «miete vittime senza etichetta, tra militari e civili, tra musulmani e minoranze religiose, tra gente comune e leader sociali e politici». Il Pakistan vanta il tragico record di oltre cinquantamila vittime di violenza terrorista negli ultimi vent’anni di vita sociale. Si tratta di un’emergenza che le istituzioni hanno dovuto affrontare adottando misure draconiane per contenere la violenza cieca e omicida e garantire lo stato di diritto. Ne hanno fatto le spese, tra gli altri, leader politici del calibro di Benazir Bhutto, ex primo ministro; Salman Taseer, governatore della regione del Punjab; e il cattolico Shahbaz Bhatti, ministro per le minoranze. Tutti personaggi che avevano fatto dell’impegno per il rispetto dei diritti umani, senza alcuna discriminazione, la cifra della loro azione politica.

Ricordando Bhatti, figura indimenticata nella comunità cattolica locale, il frate cappuccino tocca uno dei tasti più dolenti: «In un paese a larga maggioranza islamica, le minoranze religiose, come cristiani, indù, ma anche ahmadi (considerati dall’islam ufficiale un setta illegale) soffrono tremendamente per le violazioni dei diritti umani. D’altro canto incassano la solidarietà di larga parte della società civile: basti ricordare quanto avvenuto nel recente caso della ragazza cattolica Arzoo Raja, rapita e costretta a nozze e islamiche, o il noto caso di Asia Bibi, la donna cristiana condannata a morte per blasfemia, poi assolta e liberata».

Non a caso il frate — impegnato con altri circa seicento francescani, tra religiosi, suore e laici, a portare un messaggio di pace nella “terra dei puri” — ha citato storie che riguardano due donne: «Sono loro, indipendentemente dalla religione, cultura o etnia, le persone i cui diritti umani sono calpestati con maggiore crudeltà solo perché sono donne e, secondo una mentalità radicata, sono ritenute meno intelligenti e dunque discriminate», rileva, citando la pratica del “delitto di onore”. «In Pakistan ogni giorno tre donne vengono uccise, soprattutto nelle province del Sindh e del Beluchistan, a causa della piaga del delitto per ragioni di onore: una ferita tuttora non rimarginata», osserva. Le ragazze, infatti, non sono libere di scegliere il proprio compagno di vita. «Se lo fanno senza il consenso del capofamiglia o del fratello maggiore, se fuggono di casa e si sposano, quest’atto è considerato un danno insanabile all’onorabilità della famiglia: perciò vengono uccise dai loro stessi familiari, in un crimine ampiamente giustificato dalla società». Il tragico fenomeno delle spose bambine (il 21 per cento delle ragazze in Pakistan si sposa prima del diciottesimo compleanno e il 3 per cento prima dei quindici anni) e il rapimento di ragazze delle minoranze religiose — che tocca almeno mille giovani cristiane o indù ogni anno, sequestrate e convertite a forza — si inquadra in tale cornice di disuguaglianza di genere e di negazione della dignità della donna.

Un antidoto a tali palesi violazioni e una via di speranza per il Pakistan si trova, secondo padre Feroz, nella rete delle organizzazioni della società civile, che non hanno colore politico o religioso. «Come ricorda l’enciclica di Papa Francesco Fratelli tutti — sostiene il frate — tante aggregazioni della società civile aiutano a compensare le debolezze del sistema politico e le carenze delle istituzioni pakistane, ponendo al centro dell’attenzione pubblica il nodo del rispetto a diritti umani fondamentali e le criticità esistenti». I gruppi che, in questa rete, appartengono alla comunità cristiana fanno la loro parte e «sono sempre accanto ai deboli, agli emarginati, ai più vulnerabili, ai poveri e ai senza voce. Compiendo sforzi lodevoli, pensando e agendo per il bene comune, a volte con gesti davvero eroici: questo mostra davvero, di quanta bellezza è ancora capace la nostra umanità, anche in Pakistan».

di Paolo Affatato