Per gli anziani nelle case di riposo

Una non-vita a causa
della pandemia

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09 dicembre 2020

In tempi di pandemia vivere in una casa di riposo è come stare in prigione. Con la nuova ondata di covid-19 gli anziani ospiti delle residenze sanitarie assistenziali (rsa) sono tornati a vivere la clausura di marzo e aprile scorsi, e senza neanche la speranza di uno sconto di pena o di un braccialetto per gli arresti domiciliari. In estate in questi istituti si erano ripresi i contatti con il mondo esterno. Gli ospiti erano tornati a vedere i familiari, almeno i più stretti. Ma da metà ottobre le 7.829 residenze per anziani, tra pubbliche e private, sparse sul territorio nazionale, di cui 2.603 rsa e 4.629 istituti per non autosufficienti, per un totale di 340.593 posti letto, hanno chiuso alle visite. Per evitare che questi luoghi, come è successo nel corso della prima ondata di coronavirus, si trasformino in focolai e luoghi di morte, i familiari non possono entrare e gli anziani non possono uscire. E il Natale si avvicina a grandi passi.

«Si tratta de facto della privazione della libertà che nega i rapporti affettivi e riduce la vita di anziani e disabili a una non vita». A dichiararlo è Mauro Palma, Garante nazionale delle persone private della libertà, che dall’inizio della pandemia ha più volte pubblicamente raccomandato la vigilanza su queste situazioni a rischio di limitazione della libertà, nell’ottica di un bilanciamento tra la tutela della salute, sia degli anziani che della collettività esterna, e i fondamentali bisogni relazionali e affettivi delle persone più fragili. «Il covid ha fatto emergere un elemento importante su cui riflettere seriamente — evidenzia Palma — e cioè che cosa significa tutelare la persona, dov’è il limite tra salvarla dalla malattia e costringerla a trascorrere gli ultimi anni della sua vita in una situazione di non vita». «La persona umana vive anche per le sue relazioni con gli altri — aggiunge —, la mancanza di rapporti umani equivale all’ibernazione ed è tragico pensare che si debba percorrere così l’ultimo pezzo della propria strada». «Da più regioni — insiste Palma — ho ricevuto e trattato segnalazioni di situazioni di chiusura totale di queste strutture con l’esterno che hanno aggravato la condizione di vulnerabilità di disabili e anziani all’interno delle strutture». Un recente rapporto dell’Istituto superiore di sanità sul covid e i disabili ha dimostrato che l’isolamento e il distanziamento sociale hanno contribuito a un peggioramento clinico anche per le persone con demenza che non sono state contagiate. Ma ancor più pericoloso, avverte Palma, è il rischio che in queste specifiche realtà si possa annidare l’abuso di strumenti di contenzione e di episodi di particolare chiusura e isolamento. «Dall’inizio della pandemia i centri di ricovero per gli anziani sono stati visti solo come potenziali cluster in un “contesto di vuoto”, dove le persone sono state lasciate sole», sottolinea Mauro Palma. Per questo, nel marzo scorso il Garante, in accordo con l’Istituto superiore di sanita (Iss) ha iniziato un monitoraggio continuo di queste strutture, per verificare che alle persone che qui vivono siano garantiti i propri diritti, come quello a mantenere una vita di relazione e a usare spazi di libertà, «specie — sottolinea il Garante — quando si tratta di persone senza familiari, in posizione quindi di maggior fragilità e mancanza di protezione». L’indagine, condotta tra il 24 marzo e il 5 maggio scorsi, ha mostrato che nelle 1.356 rsa che hanno risposto al questionario e che ospitavano un totale di 100.806 residenti, sono morte 9.154 persone. Di queste, il 7,4% causa covid-19 ed il 33,8% per sintomi simil-influenzali. I principali problemi associati alla pandemia nelle rsa sono stati individuati nella mancanza di personale e nella difficoltà ad isolare gli affetti da covid. In merito alle caratteristiche delle strutture in media sono risultati presenti 2,5 medici, 8,5 infermieri e 31,7 operatori socio-sanitari per struttura. Circa l’11% delle strutture ha dichiarato di non avere medici nella struttura fra le figure professionali coinvolte nell’assistenza. Ogni struttura ospitava mediamente 74,8 posti letto.

«La pandemia — dice Palma — ci ha insegnato che in futuro le priorità per l’accreditamento di queste strutture dovranno essere la presenza di luoghi dove poter isolare gli ospiti con malattie infettive ed anche spazi da adattare per incontri sicuri con i familiari». Ad oggi, insiste Palma, tutto ciò è delegato alla sensibilità della singola struttura e varia sensibilmente da regione a regione. «È da prendere ad esempio dunque — conclude Palma — la decisione del Veneto e dell’Emilia Romagna di distribuire nelle case di riposo per anziani i tamponi per i test rapidi sia sugli operatori sanitari sia sui visitatori esterni. Ciò permette di salvaguardare la salute degli ospiti e allo stesso tempo di garantire loro ancora uno spazio di vita, ma è indubbio che queste iniziative sono ancora troppo rare».

di Anna Lisa Antonucci