Attualità dell’insegnamento di sant’Ambrogio

La misericordia come luogo dove l’uomo riconosce Dio

Alvise Vivarini e Marco Basaiti, «Pala di sant’Ambrogio » (basilica dei Frari a Venezia, 1503)
07 dicembre 2020

Nato a Treviri probabilmente nel 340, mentre suo padre ricopriva un alto incarico presso la corte imperiale, Ambrogio si colloca in un crocevia unico e — forse — irripetibile della storia universale e sua personale. Per lignaggio familiare apparteneva alla nobiltà senatoria; per l’educazione ricevuta era destinato ad alte cariche nell’amministrazione imperiale; per la consuetudine del tempo, sarebbe facilmente rimasto catecumeno fino a età avanzata. Ma, inaspettatamente, fu chiamato nel 374 a guidare la Chiesa di Milano, una città importante che era anche una delle residenze imperiali, in una congiuntura storica che vedeva gli imperatori e la Chiesa ancora (e drammaticamente) impegnati nel definire i reciproci rapporti: una situazione assai complessa e frammentata, segnata dalla divisione portata dall’arianesimo, ancora forte nella famiglia imperiale, nella quale le parole e le azioni del vescovo milanese avrebbero avuto una risonanza universale, e avrebbero potuto caratterizzarlo o come un “vescovo di corte”, prono alla volontà del sovrano, o — al contrario — come l’interlocutore più impegnativo per imperatori che pure si consideravano cristiani. Fu quest’ultima la via che Ambrogio scelse di percorrere, e questa decisione segnerà in modo indelebile la sua vita, ma anche il volto della Chiesa in occidente, aprendo la strada ad una concezione della libertas ecclesiae — ereditata da predecessori nell’episcopato quali san Dionigi di Milano, sant’Ilario di Poitiers, san Liberio Papa — il cui cammino proseguirà, grazie a lui, rifiutando sia l’idea di un potere assoluto per gli imperatori, sia la pretesa di considerarsi al di sopra della Chiesa.

In questa appassionata difesa della libertà dei cristiani, paradossalmente, Ambrogio sarà aiutato in modo determinante proprio dalla sua educazione giuridico-amministrativa e dalla dedizione alla res publica, che gli avevano insegnato il senso del bene comune, della lealtà e la concezione della vita come servizio. Come acutamente osservava il suo successore Federico Borromeo, all’inizio del Seicento, Ambrogio «giusto, prudente, magnanimo, grave, e severo fù sempre ne’ civili magistrati; e le medesime virtù, quelle havendo poi rendute più perfette, nell’ecclesiastico stato traportò», allorquando — con l’inattesa elezione popolare all’episcopato — si trovò a ripensare totalmente il suo progetto di vita, arrivando a riconoscere la volontà divina nel passare da consularis a vescovo.

Come pastore, Ambrogio fu assiduo nell’insegnamento della fede, nella cura per i catecumeni, nella promozione della verginità consacrata, nella pratica di una carità intelligente e possibile a tutti, dacché — scriveva — «la liberalità... è di due specie: una aiuta col soccorso materiale, cioè per mezzo del denaro; un’altra soccorre offrendo la propria opera, ed è spesso molto piú splendida e luminosa» (De officiis, ii, 73).

Il tempo del suo episcopato (374-397) fu particolarmente denso di eventi, gravidi di un vero e proprio cambiamento d’epoca, che di lì a pochi anni (410) avrebbe visto la città di Roma — per secoli inespugnata — messa a ferro e fuoco dai Goti di Alarico, avviando così il tramonto definitivo dell’Impero d’occidente. Ma quello dei barbari non era solo un problema militare e politico: nei loro confronti era radicato un pregiudizio culturale, ampiamente diffuso anche tra i cristiani, che li voleva pagani o eretici, dediti unicamente alla violenza e alla rapina. È degno di nota quanto accadde durante un durissimo scontro tra l’imperatore Valentiniano ii — che voleva requisire una basilica per permettervi il culto degli ariani di corte — e Ambrogio, che non voleva cedere gli edifici sacri fondati dai suoi predecessori di fede ortodossa. Mentre nella chiesa oggetto della requisizione la folla dei credenti si accalcava per impedire il sopruso, alcuni dei barbari che militavano nelle truppe al soldo imperiale e circondavano l’edificio sono visti entrare nella chiesa. Si scatena il panico tra la folla, già si teme una carneficina. E invece, del tutto inaspettatamente, i capi dei soldati dicono di essere anch’essi cristiani, e di essere lì per pregare, unendosi al popolo milanese. Ambrogio, più tardi, commenterà questo episodio riconoscendo il compimento di quanto si era letto quella stessa mattina nel Salmo 79 («O Dio, nella tua eredità sono entrate le genti»), così come completato dal Salmo 76 («La sua dimora è nella pace. Là spezzò le saette dell’arco, lo scudo, la spada, la guerra»), e mostrando quanto fosse consueta, in lui, una capacità di giudizio sulla realtà che vedeva in essa l’azione continua di Dio e l’attualizzazione permanente della Parola di Dio pregata all’interno della liturgia della Chiesa.

Questa profonda unità del giudizio era possibile ad Ambrogio a partire dal suo rapporto con Cristo: davvero la fede di Ambrogio era totalmente cristocentrica, e ad essa si univa una profondità affettiva non comune nella relazione con il Signore Gesù. E se, nella lotta contro gli ariani, Ambrogio fu sempre strenuo difensore della divinità del Salvatore, nello stesso modo fu un convinto assertore della pienezza della Sua umanità, senza la quale — affermava — non sarebbe possibile la nostra redenzione. Così poteva scrivere: «Sono molto fuori strada quelli che sostengono che Cristo ha preso su di sé la carne dell’uomo, ma non la sua capacità di percepire sentimenti e sensazioni. E vanno contro il piano dello stesso Signore Gesù, perché tolgono l’uomo dall’uomo, dal momento che non può esservi l’uomo senza l’umano sentire... Come farei io oggi a riconoscere come uomo il Signore Gesù, di cui non posso vedere la carne? I suoi sentimenti, le sue sensazioni però li posso conoscere dai vangeli. [...] Proprio egli ci teneva tanto ad essere creduto un uomo, pur essendo Dio... Perciò ha proclamato che possedeva l’essenza stessa della fede l’apostolo che l’ha riconosciuto come Figlio di Dio e non ha negato la sua piena umanità... Il Figlio del Padre non è un altro rispetto al figlio di Maria, ma colui che proveniva dal Padre ha preso la carne dalla Vergine, ha accolto la capacità di provare sentimenti e sensazioni dalla madre, per poter prendere egli stesso su di sé la nostra debolezza» (Explanatio psalmi lxi, 4-5 passim).

Proprio ritrovando nel Figlio di Dio fatto uomo la capacità di condividere tutto, tranne il peccato, della nostra umanità, Ambrogio poteva riconoscere il fondamento della nostra dignità nel valore che abbiamo agli occhi di Dio, e quindi consolidare un giudizio che non vedeva alcuna contraddizione tra l’amore e la venerazione per la santità di Dio, e la carità verso il prossimo, anche quando si trattò di spezzare e fondere dei calici e delle pissidi per ottenerne dell’oro con cui riscattare degli ostaggi fatti prigionieri dai barbari: questo gesto, che gli valse non poche critiche da parte di persone interne alla Chiesa, venne da lui spiegato così: «Sebbene ci fossimo comportati così in tale vicenda non senza giustificati motivi, tuttavia ne trattammo con il popolo in modo da rendere chiaro e dimostrare che era stato molto meglio per il Signore salvare delle anime che dell’oro. Egli infatti mandò gli Apostoli senza oro e senza oro fondò le Chiese. La Chiesa possiede l’oro non per custodirlo, ma per distribuirlo, per recare soccorso nelle necessità» (De officiis, ii, 137).

In conclusione, la sintesi più comprensiva dell’insegnamento di Ambrogio si può trovare nella sua comprensione della misericordia come luogo dell’identità di Dio e dell’uomo: la grandezza dell’uomo, infatti, sta per lui in primo luogo nella sua capacità di essere oggetto della misericordia di Dio e di poterla comprendere, riconoscendo così l’amore del Creatore. Scriveva infatti: «[Dio] creò il cielo, e non leggo che si sia riposato; creò la terra, e non leggo che si sia riposato; creò il sole, la luna, le stelle, e non leggo che nemmeno allora si sia riposato; ma leggo che ha creato l’uomo e che a questo punto si è riposato, avendo un essere cui rimettere i peccati» (Exameron ix, 10, 76). Un compagno di strada, Ambrogio, che si rivela affidabile e prezioso anche per noi, oggi.

di Francesco Braschi
Biblioteca Ambrosiana di Milano