La Giornata mondiale del volontariato (International volunteer day), istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 17 dicembre 1985, ricorre il 5 dicembre di ogni anno. Giunta alla sua 35a edizione, quest’anno sottolinea il ruolo chiave del volontariato nel mondo durante la pandemia. Nel 2020, il leitmotiv «Together we can through volunteering» (”Insieme possiamo con il volontariato”) vuole raggiungere tutti i Paesi del mondo come emblema di gratitudine verso coloro che sono stati e sono ancora in prima linea nelle risposte sanitarie e sociali, individuali e collettive, nonostante le difficoltà della crisi determinata dal covid-19. Il volontariato ha fatto parlare di sé, come padre di una cultura cosciente. «Appena è stato evidente che c’era un’emergenza seria io, che sono originaria di Modena, ho risposto alla richiesta di tanti colleghi ed ex colleghi dell’Emilia-Romagna e della Lombardia che chiedevano semplicemente una mano non avendo avuto il tempo di predisporsi e di prepararsi alla prima ondata del virus. E quindi mi sono detta: “Cosa posso fare? Posso andare”. Io sono una suora, è vero, ma è stato bello vedere come quello che io ho scelto per vocazione è diventato dono per gli altri». La narrazione di suor Maria Chiara Ferrari, medico, impegnata presso la Caritas dell’arcidiocesi di Otranto, parla della risposta del volontario interpellato nella coscienza e nel cuore di fronte alle dolorose situazioni di prossimità che toccano il Paese; è l’insegnamento dell’umanità più bella che alla domanda “io cosa posso fare” non risponde “posso stare responsabilmente a casa mia”, ma “io posso andare”. Un andare silenzioso, senza proclami, tipico di una cultura cosciente del significato che la parola voluntas incarna, quando diventa protendere verso l’altro con la gratuità di chi sa bene che la propria offerta non resterà senza ricompensa, che il proprio impegno servirà per alleviare le agonie del mondo e il tempo diverrà lo spartiacque tra il vivere solo per sé stessi e la continuità di esserci per l’altro.
Il volontariato ha fatto parlare di sé, come padre di una cultura responsabile, edificata sulla formazione delle persone in relazione all’ambito specifico in cui operano: si pensi ai volontari, credenti e non credenti, nei reparti degli ospedali, negli asili notturni, nelle mense o impegnati per l’attività di distribuzione di pacchi alimentari nei quartieri, nelle parrocchie. La formazione, la conoscenza giuridica, i percorsi educativi e culturali aumentano la convinzione e la responsabilità del “fare volontariamente” che non è mero assistenzialismo, ma il riconoscimento del “diritto” di fare volontariato per chi lo mette in atto e per le istituzioni che devono sostenerlo. La Carta costituzionale tutela la libertà di associarsi per dare senso e concreta attuazione ai principi fondanti una nazione, con il riconoscimento del valore sociale dell’attività di volontariato in quanto espressione di partecipazione, solidarietà e pluralismo.
Nell’agosto 2017, il codice del terzo settore ha lanciato un’ulteriore sfida innanzi tutto culturale e istituzionale per promuovere la cultura del volontariato, in particolare tra i giovani che ancora sono in minoranza. Il Pontefice, in preparazione dell’evento «The Economy of Francesco», ha raccomandato ai giovani di «ascoltare col cuore le grida sempre più angoscianti della terra e dei suoi poveri in cerca di aiuto e di “responsabilità”, cioè di qualcuno che “risponda” e non si volga dall’altra parte», di sentirsi portatori di una cultura coraggiosa senza avere paura di rischiare nella costruzione di una nuova società. Ma l’esortazione di Papa Francesco ai giovani di tutto il mondo è la radice di quel volontariato che fa parlare di sé, come “figlio primogenito della solidarietà”. Le associazioni di volontariato, come spiegato dal presidente della Società San Vincenzo de’ Paoli di Roma, Giuliano Crepaldi, sono riuscite, nonostante le difficoltà anche di spostamento nella città, a far fronte all’emergenza continuando a portare cibo presso i piazzali delle stazioni ferroviarie, a coloro che non hanno la possibilità di procurarselo per “vivere”. Perché la dignità della persona senza dimora va salvaguardata e difesa giacché questa è nei fatti la vera solidarietà. Un vincolo che rappresenta una costante anche per gli ottocento volontari di diverse associazioni che, al fianco dei professionisti del Bambino Gesù, sono vicine a chi deve vivere un periodo di degenza in ospedale e si prendono cura dei pazienti nei reparti, organizzando e coinvolgendo piccoli e grandi in attività di socializzazione durante il ricovero, fino alla dimissione. Occorre, quindi, che se è vero che corre l’urgenza di costruire una nuova economia che abbia a mente anche l’apporto del volontariato nei confronti della società, allora è necessario che le istituzioni non rimangano indifferenti e utilizzino un linguaggio nuovo per far comprendere, soprattutto ai giovani, il valore di questo diritto riconoscendogli tutto il sostegno possibile. Questo è un patto reciproco al quale tutti dovremmo aderire affinché del volontariato si parli ancora e sia sempre più forte la speranza che, per usare le parole di monsignor Antonio Bello, «su questa nostra povera terra il rosso di sera non si è ancora scolorito».
di Rossana Ruggiero