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Simbolo e guida
di fede vissuta

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02 dicembre 2020

Al via le celebrazioni per il 200° anniversario della nascita di sant’Andrea Kim Tae-gon, primo prete cattolico e martire nel 1846 Il vescovo di Daejeon spiega l’importanza del giubileo


Con il patrocinio dell’Unesco, domenica 29 novembre si sono aperte le celebrazioni del giubileo indetto dalla Chiesa in Corea del Sud per il bicentenario della nascita di Andrea Kim Tae-gŏn (1821-1846), primo prete cattolico coreano, decapitato a Seoul il 16 settembre 1846 nel corso dell’ondata di persecuzioni lanciate dalla dinastia Joseon. Sant’Andrea è uno dei centotré martiri coreani canonizzati il 6 maggio 1984 da san Giovanni Paolo II. Guida e simbolo della fede vissuta nella carità e nella fratellanza, sant’Andrea ispirerà — ci spiega il vescovo Lazzaro You Heung-sik, alla guida della diocesi coreana di Daejeon e responsabile dell’organizzazione del giubileo — questo anno di grazia che terminerà il 27 novembre 2021 (ultimo giorno del calendario liturgico): «Il bicentenario della nascita di sant’Andrea Kim Tae-gŏn è un’occasione propizia per la crescita spirituale della Chiesa in Corea. Nella famiglia in cui è nato e in quattro generazioni, ben undici membri hanno versato il loro sangue per il Signore, e tra questi vi sono alcuni beatificati e altri già canonizzati. Pertanto, questo giubileo darà a tutti noi l’opportunità per interiorizzare la spiritualità del martirio, che è la linfa vitale della Chiesa in Corea, meditando con profondità la vita dei martiri».

Ci sarà un filo conduttore, una parola chiave del vostro giubileo?

In una delle epistole scritte in prigione da sant’Andrea Kim, si legge un dialogo tenuto tra il santo e un funzionario che lo interrogò dicendo: «Sei cattolico?». E lui rispose: «Sì, sono cattolico». E per questo dovette sacrificare la sua vita. Per i nostri martiri la fede era il valore più importante. La Conferenza episcopale coreana, nel preparare tale anno di speciale grazia, ha voluto prendere in considerazione proprio la domanda di quel funzionario, come forte monito a tutti noi cristiani d’oggi. Nella società coreana, solo l’11 per cento della popolazione è cattolica, mentre più della metà si dichiara “senza religione.” La domanda ci interpella allora a riflettere seriamente sulla nostra identità e sulla nostra coerenza in quanto “fedeli cattolici.”

Il giubileo cade nel tempo difficile della pandemia che limita spazi, movimenti, scambi. Come avete pensato di conciliare questo con i vostri progetti?

Credo che sia provvidenziale celebrare il giubileo nella situazione attuale della crisi sanitaria mondiale, perché gli esempi dei santi martiri ci spronano a relativizzare i valori effimeri che ci soffocano, e a vivere invece rettamente il comandamento dell’amore: fede in Dio e prossimità verso il fratello. Il popolo di Dio in Daejeon comprende bene che la vera fede ci porta ad aprire il cuore e a sperimentare come il Maestro la compassione, offrendo noi stessi con amore. I veri cristiani non si risparmiano nella carità e non a parole ma con i fatti. In modo concreto, la comunità diocesana ha avviato un programma di aiuto umanitario, «Invio del vaccino anti covid-19», a sostegno dei nostri fratelli della Corea del Nord. Purtroppo, la nostra agenda è stata modificata; tuttavia abbiamo introdotto alcuni programmi online per promuovere la spiritualità di sant’Andrea Kim, anche se si è coscienti che queste nuove forme di prossimità non hanno lo stesso effetto degli incontri diretti, ma sono un valido strumento per fermarsi e dare più attenzione a sé stessi. Con preoccupazione la Chiesa affronta le sfide che sempre più emergono nella società coreana, alle prese con individualismo, materialismo e competizione; sono queste le nuove forme di vita che i nostri giovani assumono, perdendo il senso della fede e allontanandosi dai valori propri della nostra cultura.

Sant’Andrea è il primo sacerdote coreano e martire del Paese: cosa rappresenta per la vostra Chiesa e cosa insegna a voi sacerdoti?

Nella preparazione del giubileo, ho sempre pregato e desiderato che questo evento ecclesiale divenisse il tempo per la conversione evangelica, spirituale e pastorale dei sacerdoti coreani, i quali, a mio sommesso parere, hanno bisogno di riscoprire la passione per l’evangelizzazione. Mi dispiace rilevare gli impatti negativi del clericalismo che ha preso piede nella Chiesa in Corea, se si considera che se oggi noi siamo qui lo dobbiamo proprio alla fede e alle attività dei fedeli laici; in questo senso la nostra Chiesa è un unicum. Purtroppo, bisogna constatare che il materialismo e la secolarizzazione non hanno risparmiato i nostri sacerdoti. Come ci ha detto il Santo Padre nel corso dell’omelia tenuta durante il concistoro, la strada di Gesù e quella del mondo sono inconciliabili. Prego affinché attraverso la grazia di quest’anno giubilare e la protezione di sant’Andrea Kim, i sacerdoti coreani ritrovino la gioia nel camminare sulla strada di Cristo, vivendo una vita più coerente, povera di mondanità e ricca di valori evangelici.

L’Unesco ha concesso il riconoscimento del patrocinio alle celebrazioni della nascita di sant’Andrea Kim per il 2021: qual è l’importanza di questo riconoscimento?

L’Unesco ha concesso il patrocinio perché ha riconosciuto la grande eredità umana e culturale che il nostro santo ha lasciato: è stato un instancabile sostenitore dei diritti umani, insegnò che tutte le persone sono preziosi figli e figlie di Dio, a prescindere dalla classe sociale. Oggi si afferma che tutti godiamo degli stessi diritti garantiti dalla Costituzione e dalle leggi, ma si percepisce con dispiacere che non tutti sono interessati a una società stabile e riconciliata. La penisola coreana rimane la zona più militarizzata del mondo. Qui il divario tra ricchi e poveri, il campanilismo, la polarizzazione nella politica sono preoccupanti e denatalità ed emarginazione sociale sono le nostre sfide. Quindi, i valori umani e spirituali di cui sant’Andrea Kim è stato profeta e difensore vanno recuperati e riproposti se vogliamo realmente promuovere la prosperità oggi e domani. I martiri inoltre, vivendo in povertà e riuscendo a condividere quel poco che avevano per il bene degli altri, ci insegnano con quale spirito dobbiamo aiutare i nostri fratelli della Corea del Nord, a prescindere da chi preferirebbe solo l’uso della forza per ristabilire la pace. I discepoli di Gesù credono più nel potere dell’amore che in quello della forza. Non va trascurata la prudenza; se diciamo che possiamo aiutarli solo se alcune condizioni saranno soddisfatte, perderemo l’opportunità di mettere in pratica l’amore.

di Gabriella Ceraso