Un antico canto d’Avvento dalla tradizione germanica

La chiave di David

Duomo di Monreale, sottarco absidale: Gesù Cristo l'Emmanuele. I mosaici del Duomo vennero eseguiti ...
02 dicembre 2020

Il canto d’Avvento più diffuso nell’uso cattolico di lingua tedesca inizia con l’invocazione «O vieni, o vieni, Emmanuele, t’aspetta con ansia il tuo Israele». Il testo prende spunto dalle cosiddette “Antifone O”, le Antifone maggiori, che la liturgia mette nei giorni successivi al 17 dicembre. L’abate Prosper Guéranger (1805-1875), restauratore del canto gregoriano nella tradizione di Solesmes, scrisse che esse «contengono tutto il succo della liturgia, sono adorne di un canto armonioso e pieno di gravità» .

Sette iniziano con l’invocazione “O”, seguita ogni volta da un appellativo diverso, quasi a formare una litania al Dio che sta per venire nel mondo. «O Sapientia», «O Adonai», «O Radix Jesse», «O Clavis David», «O Oriens», «O Rex Gentium», «O Emmanuel» sono i titoli con cui la liturgia invoca Gesù. L’idea di unire in un unico canto questi sette testi, la cui origine risale agli albori del Cristianesimo (già Boezio ne fa menzione), venne presto. Una parafrasi dal titolo Veni, veni, Emmanuel, forse risalente al xii secolo, si diffuse in tutto l’Occidente durante il tardo Medioevo. La prima pubblicazione si ebbe però solo nel 1710 nel Psalteriolum Cantionum Catholicarum, realizzato a Colonia da Johannes Heringsdorf per incarico delle scuole dei gesuiti.

Nella versione originale l’inno consta di cinque sestine, in cui però gli ultimi due versi sono fissi e formano il ritornello. La prima strofa invoca: «Vieni, vieni Emmanuel, libera Israele, che geme, prigioniero in esilio e privo del Figlio di Dio». Il ritornello annuncia la speranza: «Rallegrati, rallegrati, Israele: per te nascerà Emmanuele». Nelle strofe successive a ogni appellativo è associata un’invocazione. Al Germoglio di Jesse si chiede di liberare il suo popolo dal baratro dell’inferno, mentre si prega l’Oriente, inteso come stella del mattino, affinché dissolva le nebbie della notte e la terribile oscurità della morte. La Chiave di David è invocata perché apra le porte del regno celeste, rendendo sicura la via verso di esso. Infine si ricorda che Adonai (Dio) nello splendore della sua maestà diede al suo popolo la legge sulla vetta del Sinai.

Nel XIX secolo vennero aggiunte altre due strofe: alla divina Sapienza, perché dia saggezza ai credenti, e al Re delle genti, Redentore di tutti, per ottenere da lui la salvezza eterna per chi si pente dei propri peccati.

Il canto ebbe una versione in tedesco già nel 1722.

Varie altre ne seguirono nel XIX e nel XX secolo; alcune abbastanza fedeli all’originale, altre con interpretazioni libere, per esprimere i sentimenti degli autori. La popolarità raggiunta fu grandissima e nel 1851 John M. Neal ne pubblicò la prima versione inglese nella raccolta Hymni ecclesiae. Dalla Gran Bretagna passò presto al di là dell’Oceano e trovò posto nei repertori americani, sia cattolici che evangelici. Intanto anche una versione in francese si diffuse in varie nazioni.

In Germania il riferimento ad Israele ne provocò il divieto durante il nazismo; dopo la guerra lo si riprese subito e oggi esso trova meritata collocazione sia nel repertorio cattolico Gotteslob, sia nei libri di canto delle varie chiese protestanti.

Pochi canti religiosi hanno avuto un numero di melodie pari a questo inno d’Avvento. La melodia ritenuta originale, nel primo modo gregoriano, è tramandata solo da un codice quattrocentesco delle suore francescane di Lisbona. A essa se ne sovrapposero ben presto altre: la forma metrica regolare rendeva facile l’adattamento a linee melodiche preesistenti, tra cui lo stesso inno latino Conditor alme siderum; ma intanto vari musicisti del XIX e del XX secolo vollero comporne di nuove. Le più diffuse si devono a Heinrich Bone (1847) e a J.B.C. Schmidt (1836).

Negli Stati Uniti ebbe fortuna un adattamento a una nota melodia del compositore russo Dmitri Bortnjanskyj (1751-1825) mentre in alcune chiese il testo fu adattato a una melodia di Charles Gounod. Un’elaborazione in polifonia fu realizzata dal compositore ungherese Zoltan Kodaly (1882-1967).

Negli anni recenti il canto fu ripreso da numerosi gruppi musicali con versioni melodiche moderne. Così nel 1991 il musicista scozzese James MacMillan compose un Concerto per percussioni ed orchestra su di esso, mentre sia negli Stati Uniti che in Europa ne vennero versioni Heavy Metal, New-Age e Punk Rock. Numerosi sono i cantanti folk o i complessi che hanno in repertorio questi brani: nel 2002 il gruppo Theocracy, nel 2008 Enya e Loreena McKennitt, nel 2009 i Medieval-Electro-Band-Heimataerde e gli U2 ne fecero propri adattamenti. Negli anni successivi furono i complessi August Bums Red e Bad Religion; infine nel 2015 la neozelandese Anna Hawkins ne presentò una nuova versione in lingua ebraica.

di Benno Scharf