In recessione per la prima volta in 25 anni

L’India stremata dalla pandemia

A health worker checks the body temperature of a passenger during Covid-19 coronavirus screening ...
02 dicembre 2020

La pandemia continua a seminare morte e povertà in India. Le cifre ufficiali, peraltro sottostimate a causa delle difficoltà nel tracciamento dei contagi, parlano di oltre 138.000 persone e di più di 9,5 milioni di casi di contagio.

Molto preoccupanti sono anche le conseguenze a livello sociale ed economico. Il sistema produttivo del Paese è entrato in recessione e si tratta della prima volta che ciò accade negli ultimi venticinque anni. Le statistiche ufficiali hanno evidenziato che il prodotto interno lordo indiano si è contratto del 7,5 per cento nel trimestre compreso tra giugno e settembre e del 24 per cento nel trimestre di aprile-giugno.

La causa è da ricercare, come affermato da una nota del ministero dell’Economia, nelle misure restrittive adottate per contenere l’avanzata del virus. Le misure sono state gradualmente allentate ma il loro impatto continua ad essere significativo.

Il picco di nuovi casi di contagio registrati in un solo giorno si è avuto intorno alla metà del mese di settembre, con poco meno di 100.000 contagiati, per poi decrescere nelle settimane successive. Secondo alcuni esperti, però, il calo sarebbe imputabile ad un cambio dei criteri con cui vengono effettuati i test diagnostici per individuare la presenza del virus. L’approssimarsi della stagione invernale e l’aumento dei livelli di inquinamento nelle principali città del Paese potrebbero portare ad una consistente crescita delle infezioni nel futuro prossimo ed a gravi conseguenze per il tessuto sociale.

Il covid-19 ha provocato un ulteriore aumento dell’ineguaglianza economica in India. Un recente report del 2019 aveva evidenziato che l’1 per cento dei cittadini più benestanti del Paese si trovava in possesso di quattro volte l’ammontare delle ricchezze possedute dal 70 per cento dei cittadini più poveri. L’adozione di un severo lockdown nei mesi di marzo ed aprile ha provocato la perdita di molti posti di lavoro e dato vita ad una vera e propria crisi migratoria interna. Il documento nota che la metà delle famiglie indiane che vivono nelle aree rurali è stata costretta a ridurre i pasti in seguito all’adozione del lock-down mentre la Banca mondiale ritiene che l’India potrebbe perdere alcune delle conquiste ottenute con fatica nella lotta alla povertà.

Il programma di Sviluppo delle Nazioni Unite ha previsto che 260 milioni di indiani finiranno in povertà nel corso del 2020. Si tratta quasi dello stesso numero di persone (271 milioni) che erano uscite da questa condizione tra il 2006 ed il 2016. La disoccupazione di massa e la povertà avranno pesanti ricadute anche sul piano psicologico. Un’indagine realizzata dalla Società indiana di psichiatria (e citata dal sito dell’Institute Montaigne) ha scoperto che i casi di disturbi mentali sono cresciuti del 20 per cento dalla fine del lockdown e che ad esserne colpito è stato un indiano su cinque. La crisi scatenata dal covid-19 rischia di danneggiare in maniera irreparabile il settore agricolo, trascurato da decenni dai governi del Paese e privato di investimenti significativi in ambito infrastrutturale, irriguo e salariale.

La pandemia ha colpito duramente gli abitanti più poveri delle città che, già da tempo, compivano sforzi immani per sostentarsi e provvedere ai propri bisogni primari. L’assenza di aiuti economici statali rende la condizione di queste persone molto precaria e li costringe a dipendere dagli altri.

I bambini si ritrovano spesso costretti a lavorare ed a rinunciare temporaneamente all’istruzione per aiutare i propri genitori a sopravvivere. La condizione di miseria è destinata a pesare sul presente e sul futuro dei più giovani e rischia di inibirne le potenzialità negli anni a venire.

di Andrea Walton