Papa Francesco in un videomessaggio alla prima conferenza virtuale dei giudici membri dei Comitati per i diritti sociali di Africa e America indica le basi della giustizia sociale e ricorda che il diritto di proprietà non è intoccabile

Restituire ai poveri
ciò che è loro

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01 dicembre 2020

«Quando, risolvendo nel diritto, diamo ai poveri le cose indispensabili, non diamo loro le nostre cose, né quelle di terzi, bensì restituiamo ciò che è loro». Questa la visione di «giustizia sociale» che Papa Francesco ha rilanciato a un gruppo di giudici, partendo dall’amara constatazione che «abbiamo perso tante volte questa idea di restituire ciò che appartiene loro», agli ultimi della terra.

In un videomessaggio inviato ai partecipanti alla prima conferenza virtuale dei giudici membri dei Comitati per i diritti sociali di Africa e America, svoltasi dal 30 novembre al 1° dicembre in Perú, il Pontefice ha esortato a costruire una «nuova giustizia sociale ammettendo che la tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto e intoccabile il diritto alla proprietà privata e ha sottolineato sempre la funzione sociale di ciascuna delle sue forme».

Nella stessa circostanza il Pontefice ha anche inviato un saluto ai conferenzieri — diversi dei quali avevano partecipato all’incontro svoltosi in Vaticano nel 4 giugno 2019 — riproponendo una suggestiva equiparazione dell’attività dei giudici con quella dei poeti. Con la puntualizzazione, però, «che una poesia» incapace di trasformare «è solo una manciata di parole morte», ha detto, esortando invece a «una poesia che ripari, redima, e nutra», proprio come deve essere la giustizia.


In un videomessaggio inviato ai giudici di Africa e America

La funzione sociale del diritto alla proprietà


La costruzione di «nuova giustizia» che sottolinei  «la funzione sociale di ciascuna delle forme» del «diritto alla proprietà privata» è stata auspicata da Papa Francesco attraverso il videomessaggio con cui si è rivolto ai partecipanti alla prima conferenza virtuale dei giudici membri dei Comitati per i diritti sociali di Africa e America, svoltasi dal 30 novembre al 1° dicembre in Perú, sul tema «La costruzione della giustizia sociale. Verso la piena applicazione dei diritti fondamentali delle persone in condizioni di vulnerabilità». Ne pubblichiamo una nostra traduzione dallo spagnolo.

Cari giudici, uomini e donne, dei continenti africano e americano,

È per me una gioia condividere con voi questo incontro virtuale tra giudici membri dei Comitati per i Diritti Sociali.

In un momento tanto critico per tutta l’umanità, il fatto che le donne e gli uomini che lavorano per dispensare giustizia si riuniscano per pensare il loro lavoro e costruire la nuova giustizia sociale è, senza dubbio, un’eccellente notizia.

Credo che per costruire, per analizzare, a partire da una completa revisione concettuale, l’idea di giustizia sociale, sia fondamentale ricorrere a un altro insieme di idee e situazioni che costituiscono, a mio parere, le basi sulle quali questa dovrebbe poggiare.

La prima ha a che vedere con la dimensione della realtà . Le idee sulle quali sicuramente lavorerete, non dovrebbero perdere di vista l’angosciante quadro in cui una piccola parte dell’umanità vive nell’opulenza, mentre a un numero sempre maggiore la dignità è sconosciuta e i loro diritti umani più elementari sono ignorati o violati. Non possiamo pensare sconnessi dalla realtà. E questa è una realtà che dovete tener presente.

La seconda ci rinvia ai modi in cui si genera la giustizia . Penso a un’opera collettiva, a un’opera d’insieme, dove tutti e tutte le persone benintenzionate sfidano l’utopia e ammettono che, come il bene e l’amore, anche il giusto è un compito che si deve conquistare ogni giorno, perché lo squilibrio è una tentazione di ogni istante. Perciò ogni giorno è una conquista.

Ma non si tratta solo di unirsi per modellare questa nuova giustizia sociale. È anche necessario farlo con un atteggiamento d’impegno , seguendo il cammino del buon samaritano.  E questo è il terzo paradigma da tenere presente, riconoscendo la tentazione tanto frequente di disinteressarsi degli altri, specialmente dei più deboli. Dobbiamo ammettere che ci siamo abituati a passare oltre, a ignorare le situazioni finché queste non ci colpiscono direttamente. L’impegno incondizionato è farci carico del dolore dell’altro, e non scivolare verso una cultura dell’indifferenza. È così comune guardare da un’altra parte.

Non posso non menzionare, come parte fondamentale di questa costruzione della giustizia sociale, l’idea della storia  come asse portante. E questa è la quarta e obbligata riflessione per quanti intendono costruire una nuova giustizia sociale per il nostro pianeta, assetato di dignità: aggiungere all’approccio la prospettiva del passato, ossia storica, una riflessione storica. Lì ci sono le lotte, i trionfi e le sconfitte.  Lì si trova il sangue di quanti hanno dato la propria vita per un’umanità piena e integrata. Nel passato ci sono tutte le radici delle esperienze, anche le radici di quella giustizia sociale che oggi vogliamo ripensare, far crescere e potenziare.

Ed è molto difficile poter costruire la giustizia sociale senza basarci sul popolo. Ossia la storia ci porta al popolo, ai popoli. Sarà un compito molto più facile se v’introdurremo il desiderio gratuito, puro e semplice di voler essere popolo, senza pretendere di essere élite illuminata, bensì popolo, mostrandoci costanti e instancabili nel lavoro di includere, integrare e sollevare chi è caduto.  Il popolo  è la quinta base per costruire la giustizia sociale.  E, a partire dal Vangelo, quello che a noi credenti Dio chiede è di essere popolo di Dio, non élite di Dio. Perché quelli che seguono il cammino della “élite di Dio” finiscono nei tanto noti clericalismi elitari che, in giro, lavorano per il popolo, ma non fanno nulla con il popolo, non si sentono popolo.

E infine, vi suggerisco che, al momento di ripensare l’idea di giustizia sociale, lo facciate mostrandovi solidali  e giusti .  Solidali lottando contro le cause strutturali della povertà, la disuguaglianza, la mancanza di lavoro, di terra e di alloggio. Terra, tetto e lavoro, techo , tierra y trabajo , le tre “T” che ci consacrano degni. Lottando, insomma, contro quanti negano i diritti sociali e lavorativi. Lottando contro quella cultura che porta a usare gli altri, a schiavizzare gli altri e finisce col togliere la dignità agli altri. Non dimenticatevi che la solidarietà, intesa nel suo senso più profondo, è un modo di fare storia.

Giusti quanti rendono giustizia. Giusti, sapendo che, quando, risolvendo nel diritto, diamo ai poveri le cose indispensabili, non diamo loro le nostre cose, né quelle di terzi, bensì restituiamo loro ciò che è loro. Abbiamo perso tante volte questa idea di restituire ciò che appartiene loro.

Costruiamo la nuova giustizia sociale ammettendo che la  tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto e intoccabile il diritto alla proprietà privata e ha sottolineato sempre la funzione sociale di ciascuna delle sue forme.

Il diritto di proprietà è un diritto naturale secondario derivante dal diritto che hanno tutti, nato dalla destinazione universale dei beni creati. Non c’è giustizia sociale che possa cementarsi sull’iniquità, che comporti la concentrazione della ricchezza.

Cari giudici, vi auguro un’ec-cellente giornata di riflessione. Auspico anche che tutto ciò che costruirete sulla giustizia sociale sia più di una mera teoria, ma piuttosto una nuova e urgente pratica giudiziaria, che contribuisca a far sì che l’umanità possa, in un futuro molto vicino, integrarsi nella pienezza e nella pace.

Vi auguro il meglio. Che Dio vi benedica.


Nel saluto ai partecipanti alla conferenza

Nessuna norma è legittima se genera diseguaglianza


Nella stessa circostanza il Pontefice ha anche inviato un videomessaggio, più breve dell’altro, per salutare i conferenzieri, molti dei quali avevano partecipato anche all’incontro svoltosi in Vaticano dal 3 al 4 giugno 2019, rilanciando l’equiparazione dei giudici ai poeti, proposta loro in quell’occasione.  Questa è la traduzione delle sue parole in spagnolo.

Cari giudici, uomini e donne, di Africa e di America. Buongiorno!  Mi rallegra potervi rivolgere queste parole prima che iniziate il bel lavoro che vi siete proposti. Mi congratulo con voi per questa iniziativa di pensare, decodificare e costruire la “nuova” giustizia sociale.

Che bello che possiate fare una pausa nel vostro lavoro ordinario per pensare e pensarsi. Sono sicuro che questa pratica vi aiuterà ad acquisire una dimensione più completa della vostra missione e della vostra responsabilità sociale.

Di fronte a una società che oggi guarda con una certa sfiducia e diffidenza a quanti detengono il potere di decidere che cosa è giusto, questo evento è un balsamo riparatore.

Vi ho detto tempo fa, quando vi siete riuniti nella Casina Pio iv , che, alla pari dei movimenti sociali, anche voi eravate poeti. Desidero riprendere questa idea.

Il poeta ha bisogno di contemplare, pensare, comprendere la musica delle realtà e plasmarla con parole. Voi, in ogni decisione, in ogni sentenza, siete di fronte alla felice opportunità di fare poesia: una poesia che curi le ferite dei poveri, che integri il pianeta, che protegga la madre terra e tutta la sua discendenza. Una poesia che ripari, redima, e nutra.

Giudici, non rinunciate a questa possibilità. Assumete la grazia della quale siete titolari, con decisione e con coraggio. Siate consapevoli che tutto ciò che potete apportare con la vostra rettitudine e il vostro impegno è molto importante.

E, per favore, ricordatevi sempre che quando una giustizia è realmente giusta, quella giustizia rende felice i paesi e degni i loro abitanti. Nessuna sentenza può essere giusta, nessuna legge legittima se ciò che genera è maggiore disuguaglianza, se ciò che genera è maggiore perdita di diritti, indegnità o violenza.

Fratelli e sorelle, fate della vostra poesia una pratica e sarete poeti migliori e giudici migliori. E non dimenticatevi mai che una poesia che non trasforma, è solo una manciata di parole morte. Che il vostro incontro sia un successo!