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Intervista a Costanza Rizzacasa d’Orsogna sul bullismo

Combattiamolo davvero insieme

un dettaglio del murale «Buone maniere» contro il bullismo realizzato ad Andria su progetto di Daniele Geniale
01 dicembre 2020

Con Milo e Matilde, protagonisti dei suoi libri, la giornalista e scrittrice ha appena partecipato a «Libriamoci a scuola», progetto nazionale sulla lettura negli istituti scolastici d’ogni ordine e grado


La prima è una favola su un gattino nero che ha problemi motori e cammina a zig-zag. L’altra è un romanzo sulla vita di Matilde, raccontata mediante il filtro dei disturbi alimentari. A legare le due narrazioni, all’apparenza lontane, ci pensa il filo rosso dell’accettazione di sé e degli altri. Storia di Milo, il gatto che non sapeva saltare (Guanda, 2018) e Non superare le dosi consigliate (Guanda, 2020) sono i libri — coraggiosi e di denuncia — che Costanza Rizzacasa d’Orsogna ha scritto e che, con entusiasmo, ha illustrato agli studenti di «Libriamoci a scuola», il progetto nazionale sulla lettura, promosso, negli istituti scolastici d’ogni ordine e grado, dal Centro per il libro, dal Ministero ai beni culturali e da quello dell’Istruzione. Dal 16 al 21 novembre scorsi — tramite incontri a distanza, a causa dell’emergenza sanitaria —, le parole della giornalista e scrittrice hanno catturato lo sguardo di numerosi allievi: i bambini delle elementari (dalla seconda alla quinta) e della prima media per il racconto su Milo, già reduce di un tour di quindici mesi nelle scuole; i ragazzi della terza media e delle superiori per la storia di Matilde, che, al contrario, è giunta, per la prima volta, tra gli scolari. «Nel corso delle presentazioni sul micino nero e disabile e sulla ragazzina grassottella, poi donna obesa, è emerso principalmente il tema del bullismo», spiega Rizzacasa d’Orsogna, di ritorno in libreria, col sequel di Storia di Milo, a settembre 2021. L’autrice — dopo Libriamoci, a cui ha aderito per il terzo anno — ha proseguito autonomamente il viaggio virtuale nelle scuole d’Italia, munita di una profonda sensibilità, la stessa che, nel 2013, usò nel raccontare, in esclusiva su «Panorama», la storia-intervista di Vinicio Riva, l’uomo con una rara forma di neurofibromatosi, che Papa Francesco strinse a sé in un lungo abbraccio d’amore in piazza San Pietro. «Perché voglio parlare di diversità e accoglienza? Perché desidero combatterlo davvero il bullismo: c’è bisogno di farlo e, ad averne capito per primo l’importanza, è stato, non a caso, il Pontefice, il quale, con la piattaforma digitale di Scholas Occurrentes, coinvolge i giovani di tutto il mondo, ne sa leggere i problemi e dimostra grande vicinanza a ciò che li riguarda».

Come si è approcciata agli studenti?

Anzitutto, ho modulato il linguaggio a seconda degli interlocutori. I miei libri si rivolgono a un pubblico diversificato. Se Storia di Milo è adatto sia ai bambini sia agli adulti, Non superare le dosi consigliate — pur toccando, al pari della favola, temi che riguardano tutti — parla ai più grandi. Così, è il linguaggio che deve cambiare durante gli incontri, il modo in cui si comunica. Per il romanzo, ad esempio, ho usato parole più accorte davanti agli studenti di terza media; sono stata, invece, più libera con i ragazzi delle superiori. In ogni caso, ciò che faccio è soprattutto informare.

Informare in che modo?

Attraverso i dati. Prendiamo Non superare le dosi consigliate, che parla di dipendenza dal cibo. Bisognerebbe sapere che, in Italia, le persone che soffrono di disturbi alimentari sono più di 3 milioni e che, di questi, 2,3 milioni sono adolescenti e preadolescenti: la percentuale di bambini e bambine, di otto o nove anni, con problemi del genere è in continuo aumento. Poi bisognerebbe pure aprire gli occhi sulla discriminazione conseguente. A tal proposito, l’università di Harvard ha realizzato uno studio sul pregiudizio implicito, quello che crediamo di non possedere e invece abbiamo. Nel 2017, gli esperti hanno rilevato l’aumento del 15 per cento del pregiudizio sulla grassezza, al contrario dei pregiudizi, in diminuzione, su orientamento sessuale, età e via dicendo. Lo studio è stato aggiornato nel 2019: sono emersi, ancora una volta, l’aumento del 40 per cento in tredici anni del pregiudizio contro le persone grasse e la diminuzione o stabilità degli altri indicatori. Tirando le somme, in poco tempo, si è verificato uno scarto del 25 per cento in più. Se questo è il quadro di ciò che accade negli Stati Uniti, figuriamoci in Italia, in ritardo perfino sullo studio di tali problematiche.

Dati allarmanti.

Sì, non vanno sottovalutati, perché le conseguenze della discriminazione sono terribili. Esistono dei casi che non sono lontani da noi e riguardano quei ragazzini vittime di bullismo, tartassati e poi indotti al suicidio. Accanto a questi episodi estremi, c’è poi un altro tipo di mortificazione contro le persone grasse, quasi quotidiana, che consta nel farle vergognare del loro peso, pensando che in tal modo si mettano a dieta. L’umiliazione non fa dimagrire e una persona discriminata è due volte e mezzo più a rischio di ingrassare rispetto a chi non lo è.

Poi c’è il cyberbullismo, oltre a una quasi totale assenza di modelli positivi per i giovani.

Certo. Ora che siamo confinati a casa per il coronavirus, il cyberbullismo sta esplodendo in maniera più forte tra i giovani. I ragazzi vedono crollare il bullismo da “cortile della scuola” e aumentare quello sui social. Social che diventano violenti e il cui uso impazza, mentre — è vero — non ci sono molti modelli positivi a cui riferirsi. Nelle serie tv e nei prodotti cinematografici, si parla poco di questi temi e, nei rari casi in cui vi si accenni, si commettono degli errori. This Is Us, per citarne uno, ha il merito di portare sullo schermo una persona obesa, ma poi, almeno nella prima stagione, si appiattisce sulla sua bidimensionalità: chi è grasso, non può avere altro pensiero all’infuori del peso. Friends, ancora, è forse la serie più grassofobica della storia della televisione, con Monica dileggiata a causa dell’aspetto fisico. Un altro studio di Harvard dice che la discriminazione contro le persone grasse è tossica come l’inquinamento: quando sei vicino a un’area nociva, cambi strada e, allo stesso modo, quando sei grasso, invece di attraversare il vicolo coi bulli, allunghi di un chilometro. Pertanto, la parola “grasso” dovrebbe venir spogliata della sua tossicità, diventare un aggettivo come gli altri. «Io sono grassa e rivendico questa parola», scrive, nel 2015, Sarai Walker nel romanzo Dietland, poi diventato serie tv. E agisce bene Annie, la giovane donna in sovrappeso di un’altra serie, Shrill, tratta dall’omonimo saggio del 2016 di Lindy West: la protagonista ha un problema col peso, ma non lo fa diventare un’ossessione perché, oltre a essere grassa, è tanto altro. Non bisogna pensare che se sei grassa, sei per forza infelice, mentre se sei magra, hai l’amore e il lavoro importante.

Sarebbe opportuno organizzare presentazioni anche coi genitori dei ragazzi.

Sicuramente. I miei libri sono un monito anche per loro: il fat shaming, la discriminazione sul corpo delle persone grasse, prima che a scuola, avviene in famiglia. «Mio figlio sta ingrassando» dice la mamma; poi guardi il bambino ed è tutto sotto controllo. Non dico che tutte le colpe siano da imputare alla famiglia, ma i genitori possono conferire ai bambini il rispetto del proprio corpo e di quello degli altri.

Parliamo di «Storia di Milo». È stato un ritorno attesissimo nelle scuole.

Un bellissimo ritorno. Con i bambini si creano dei rapporti straordinari. Sembra di essere parte di una famiglia, grazie, soprattutto, ai disegni e alle letterine inviate dai piccoli per il compleanno del gattino, che, sì, esiste realmente e, nel corso delle videolezioni, di solito, partecipa insieme a me. Ho capito che Storia di Milo riesce a trasformare dei semplici incontri in autentiche condivisioni di storie sul bullismo, sul razzismo, sulla disabilità, sulle migrazioni. Ho ricevuto dei messaggi profondi da parte dei bambini, che nei personaggi della favola hanno rivisto se stessi o persone vicine: Ariel, in Milo, ha pensato al nonno, colpito, da scolaro, dalle leggi razziali del 1938; Eugenio ha scritto al gattino di non arrendersi e di non deprimersi per i suoi problemi motori, perché pure lui, dapprima, non riusciva ad andare in bici, ma poi, con impegno e tenacia, ce l’ha fatta. E, come loro, tanti altri hanno raccontato un’esperienza, andando oltre la lettura, capendo la metafora pur non sapendo cosa metafora significhi.

I bambini hanno imparato molto. E lei?

Nella mia vita non ho mai avuto così tanti rapporti coi bambini, ora ho scoperto che esiste una parte di me capace di sapergli parlare. Inoltre, coi bimbi abbiamo ampliato la nostra definizione di bellezza: rispetto è bellezza, accettazione è bellezza, così come la fratellanza. Insieme, lo abbiamo capito.

di Enrica Riera