PUNTI DI RESISTENZA
L’India e la sua passione per Pelham Grenville Wodehouse, best-seller nelle vendite

Ancora grazie Jeeves!

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28 novembre 2020

Non mise mai piede in India, eppure ancora oggi i suoi libri sono letti nel Paese con vorace interesse. Il fine e spumeggiante umorismo di Pelham Grenville Wodehouse (1881–1975) ha fatto dunque breccia nella mente e nel cuore degli indiani, nonostante siano pochi i riferimenti alla nazione che lo scrittore inglese fa nei suoi settantuno romanzi. Questo fatto, a dir poco curioso, se non paradossale, ha in realtà una spiegazione semplice. Se la letteratura è quella alta, non esistono situazioni contingenti e condizioni meramente logistiche a condizionarne la libera e formativa fruizione. La narrativa forgiata dalle grandi firme resiste all’urto di anodine e penalizzanti categorizzazioni, e finisce, con pieno merito, per trascendere barriere geografiche e stereotipi culturali. Nel dare la notizia di Wodehouse quale best-seller nella classifica delle vendite di libri a New Delhi e in altre città del Paese la Bbc scrive: India still holds a flame for the English author (“L’India nutre ancora una passione per l’autore inglese”). In quel still (“ancora”) si specchia, appunto, la persistente forza che innerva i capolavori che, per essere giudicati tali, non devono necessariamente rappresentare drammi grondanti lacrime e sangue. Perché i libri di Wodehouse, molti dei quali sono veri capolavori, si dipanano lungo un versante ben diverso. Quello dell’ironia, non di rado screziato di un sarcasmo intinto nel vetriolo. Ma è, al contempo, una ironia — incarnata anzitutto dal ricco e vanitoso Bertie Wooster e dall’ingegnoso valletto Jeeves — mai irriverente, e capace di configurarsi quale strumento per sondare i tortuosi meandri dell’animo umano, denunciandone capricci e debolezze. Non a caso George Orwell, uno dei suoi più ferventi ammiratori, metteva in guardia i lettori dal non essere superficiali nel godere del genio di Wodehouse, perché nei suoi libri, a ben giudicare, «non c’è una risata che in qualche modo non adombri pure una lacrima», non c’è un momento di felicità che non sottenda, anche cinicamente, il suo contrario. Ma perché nel cuore dell’India lingueggia ancora la “fiamma” (“passione”, se tradotta letteralmente) per le opere di Wodhouse? Non c’è, ovviamente, una risposta unica ed esaustiva. Di fondo, tuttavia, si può ricondurre la ragione di questo fenomeno al desiderio, in un Paese vessato da urgenti e logoranti questioni sociali, di «ridere seriamente», come dichiara, citata dalla Bbc, Navtei Sarna, che ha ricoperto importanti incarichi nell’Indian Foreign Office: in particolare è stata ambasciatrice a Londra e a Washington.

Prima di intraprendere la carriera diplomatica, Sarna aveva lavorato presso Tata, una compagnia industriale indiana. Era il 1980. Per essere assunta, doveva prima sostenere un esame scritto che prevedeva la composizione di un saggio su temi economici e finanziari. La lista, comunque, contemplava anche un “diversivo”, ovvero un soggetto di carattere letterario, il cui titolo così recitava: A Wodehouse a Day Keeps the Doctor Away. (“Un Wodhouse al giorno toglie il medico di torno”). «Ricordo ancora — racconta — la felicità che provai nel leggere quel titolo e nel potermi cimentare su uno scrittore che avevo letto e riletto sin da giovanissima». Il suo saggio fu giudicato «eccellente» e il posto di lavoro fu suo. «È proprio vero — sottolinea Sarna — che la lettura quotidiana di Wodehouse ha il potere taumaturgico di una mela. Praticata ogni giorno tale lettura produce molteplici effetti positivi, perché diverte, distrae, fa riflettere e impartisce, tra le righe, illuminanti insegnamenti di vita». E il carisma di Wodehouse in India si è egregiamente misurato anche con la terribile sfida lanciata dalla pandemia, che ha portato alla chiusura delle librerie. Si è infatti registrata un’impennata delle vendite online delle sue opere, come pure si sono intensificate, sempre online, le discussioni che i lettori intrattengono, a più voci, dopo aver finito la lettura delle rocambolesche imprese dell’immarcescibile maggiordomo. Verrebbe da dire, con Wooster, «grazie Jeeves!».

di Gabriele Nicolò