«Fratelli tutti» - Per una lettura dell’enciclica di Papa Francesco

Nell’ecumenismo politico dell’amore

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27 novembre 2020

Uno sguardo protestante a partire da Martin Luther King e Desmod Tutu


Da non pochi referenti cristiani nel dialogo tra le religioni l’ecumenismo è immaginato come l’incontro tra tre figure confessionali concentriche che si collegano, s’incrociano e convergono, e al contempo compiono moti doppi propri e interconnessi. Nel primo circolo confluiscono le confessioni cristiane, nel secondo quelle appartenenti al ramo abramitico come l’ebraismo e l’islam, e nel terzo — e non per questo meno importante — il resto delle religioni e visioni cosmologiche trascendenti.

Fratelli tutti, che è di per sé un’enciclica ecumenica, dedica l’intero capitolo ottavo ad affrontare in particolare il tema «Le religioni al servizio della fraternità nel mondo». In questa parte del documento confluiscono armoniosamente i tre circoli sopracitati. Nel presente articolo vorrei soffermarmi sul primo circolo, e soprattutto sui due referenti cristiani non cattolici citati da Papa Francesco: Martin Luther King e Desmond Tutu. Farò poi qualche riflessione citando alcuni concetti chiave di questi leader cristiani, naturalmente insieme alle riflessioni compiute nel documento da Papa Francesco su temi come la politica, l’amore, la giustizia, la trasformazione, la liberazione, l’amore e la pace.

Il capitolo ottavo inizia proprio con un passaggio orientativo e rivelatore in tal senso: «Le diverse religioni, a partire dal riconoscimento del valore di ogni persona umana come creatura chiamata ad essere figlio o figlia di Dio, offrono un prezioso apporto per la costruzione della fraternità e per la difesa della giustizia nella società. Il dialogo tra persone di religioni differenti non si fa solamente per diplomazia, cortesia o tolleranza» (n. 271). Questo sguardo che si afferma nella profondità del contenuto comune della filiazione in Dio come Padre, si leva al di sopra delle superfici protocollari per costruire, uniti, un pragmatismo profetico verso un continente universale di valori fraterni comuni, nel regno di Cristo. Nella dinamica dell’“ora e non ancora” del regno di Dio e della sua giustizia che si accoglie, si fa propria e si sogna anche, ci possono illuminare le parole del pastore Martin Luther King, ancorate alla voce del Battista che si fa eco di quelle di Isaia (cfr. Lc 3, 4-6), per levarsi sulle ali di questo sogno profetico fraterno: «Io ho davanti a me un sogno, che un giorno ogni valle sarà esaltata, ogni collina e ogni montagna saranno umiliate, i luoghi scabri saranno fatti piani e i luoghi tortuosi raddrizzati e la gloria del Signore si mostrerà e tutti gli essere viventi, insieme, la vedranno. È questa la nostra speranza... Con questa fede saremo in grado di trasformare le stridenti discordie della nostra nazione in una bellissima sinfonia di fratellanza. Con questa fede saremo in grado di lavorare insieme, di pregare insieme, di lottare insieme, di andare insieme in carcere, di difendere insieme la libertà, sapendo che un giorno saremo liberi» (I have a dream, 28 agosto 1963, Washington).

La politica o «la migliore politica», per utilizzare la terminologia dell’enciclica, in questo capitolo ottavo è vista dal Santo Padre anche come materia religiosa, ecumenica, trascendente ed ecclesiale: «... benché la Chiesa rispetti l’autonomia della politica, non relega la propria missione all’ambito del privato. Al contrario, “non può e non deve neanche restare ai margini” nella costruzione di un mondo migliore, né trascurare di “risvegliare le forze spirituali” che possano fecondare tutta la vita sociale... La Chiesa “ha un ruolo pubblico che non si esaurisce nelle sue attività di assistenza o di educazione”... Non aspira a competere per poteri terreni, bensì ad offrirsi come una famiglia tra le famiglie — questo è la Chiesa —, aperta a testimoniare [...] al mondo odierno la fede, la speranza e l’amore verso il Signore e verso coloro che Egli ama con predilezione» (n. 276).

Il vescovo anglicano Desmond Mpilo Tutu, nella sua importante riflessione su “Politica e Religione” (Messaggio per la Conferenza delle Chiese dell’Africa, Nairobi, Kenya, nel suo quarto anniversario) afferma: «Se la Chiesa mostrerà preoccupazione per le vittime dell’indifferenza e dello sfruttamento o denuncerà il crescente divario che esiste nel Paese tra i pochi ricchi e la stragrande maggioranza che è povera, allora la si accuserà d’intervenire in questioni di cui sa molto poco. Quando si lavorerà per ottenere una società più giusta, partecipativa e sostenibile i cui membri intervengano nella presa di posizioni cruciali su questioni che sono importanti per la loro vita, allora si sentirà dire: “Non bisogna mescolare la religione con la politica!”». Tutu conclude il suo discorso ponendo alcune domande retoriche sulle considerazioni bibliche riguardo a questi temi. Ne riporto alcune: «Forse dicono che Dio si preoccupa solo della salvezza di individui e non gli interessa la redenzione del contesto socio-politico ed economico in cui vivono? O dicono che di fatto a Dio non importa la condizione di chi ha fame, di chi non ha nulla, di chi non ha voce né voto, del povero, e che Lui non prende posizione né a favore né contro nessuno?». Inoltre, nel paragrafo conclusivo del messaggio in questione, che Tutu dovette inviare registrato perché il governo gli aveva ritirato il passaporto, aggiunge: «Quando due persone sono in conflitto e una delle due è considerevolmente più forte dell’altra, essere neutrali non è giusto, né onesto e neppure imparziale. Perché significa di fatto mettersi dalla parte dell’oppressore».

Infine, a mo’ di conclusione, è bene rileggere la parte «Religione e violenza» del capitolo ottavo di Fratelli tutti, dove Papa Francesco ci ricorda che: «Come credenti ci vediamo provocati a tornare alle nostre fonti per concentrarci sull’essenziale: l’adorazione di Dio e l’amore del prossimo, in modo tale che alcuni aspetti della nostra dottrina, fuori dal loro contesto, non finiscano per alimentare forme di disprezzo, di odio, di xenofobia, di negazione dell’altro» (n. 282). L’ecumenismo e l’odio in tutte le sue manifestazioni costituiscono un ossimoro insostenibile. Il vero lume dell’essere ecumenico sono l’amore e la pace. Perciò Papa Francesco continua dicendo: «La verità è che la violenza non trova base alcuna nelle convinzioni religiose fondamentali, bensì nelle loro deformazioni. Il culto a Dio, sincero e umile, “porta non alla discriminazione, all’odio e alla violenza, ma al rispetto per la sacralità della vita, al rispetto per la dignità e la libertà degli altri e all’amorevole impegno per il benessere di tutti”. In realtà, “chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore” (1 Gv 4, 8)» (nn. 282 e 283).

di Marcelo Figueroa