La vita al limite di Diego Armando Maradona

La debolezza del genio

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26 novembre 2020

Quando un campione se ne va, soprattutto se ha scritto pagine indelebili della storia dello sport, lascia un vuoto che solo il ricordo delle sue prodezze riesce a colmare. E di prodezze Diego Armando Maradona ne ha compiute talmente tante che è difficile persino elencarle. Per definire questo fuoriclasse indiscusso — nell’immaginario collettivo sempre in lotta con Pelè su chi fosse il migliore, e lui non aveva dubbi nell’autoproclamarsi tale — sono state usate un’infinità di iperboli. Le stesse che risuonano da ieri pomeriggio, da quando è giunta la notizia della sua morte a Buenos Aires. A stroncarlo, a sessant’anni, un arresto cardiaco. Pochi giorni prima era stato operato al cervello dopo una caduta. L’ultima di tante, troppe, di una vita sempre al limite, consapevolmente sopra le righe.

Maradona era genio e sregolatezza, come molti artisti. Perché anche il pallone ne ha. Lo sanno bene gli scrittori, anche illustri, che hanno dedicato dotti saggi ai fuoriclasse del calcio, a Maradona più che ad altri. Che sul campo del genio aveva tutto: l’estro, l’imprevedibilità, la capacità di vedere spazi inesistenti e disegnare traiettorie impossibili, una tecnica sublime, la ribalderia di chi è consapevole dei propri mezzi. Persino qualcosa di divino, per alcuni, anche se poi a vederlo, basso, un tantino tarchiato, non sembrava mica sceso dall’Olimpo; forse solo i lunghi riccioli richiamavano la chioma di un dio greco. Ma che importa, se poi uno è capace di segnare in una sola partita — Argentina-Inghilterra, Mondiali del 1986 poi vinti dalla selección — i due gol più famosi della storia del calcio: quello malandrino che gli valse l’appellativo di “mano de dios” e il secondo, definito il gol del secolo, con un folle slalom tra un nugolo di avversari che sembravano birilli inermi. Una “vendetta”, si disse, dopo la ferita della guerra per le Falckland-Malvinas. Geopolitica del calcio.

Maradona era un fuoriclasse del pallone che però non riusciva a gestire il personaggio divenuto mito. Una vita di eccessi la sua, sia quando ancora calcava i campi di calcio, la palla magicamente incollata al piede incantando il mondo, sia dopo aver definitivamente appeso gli scarpini al chiodo. Droga, alcol, scorribande notturne e disinibite anche in compagnia di camorristi quando era a Napoli, doping, evasioni fiscali, persino le manette e il carcere.

Non di rado si è mostrato in pubblico quasi come parodia di se stesso. Arrivato più volte a un soffio dalla morte, ha anche provato a uscire dal tunnel, con ricoveri e percorsi di recupero, uno persino offerto da Fidel Castro (affascinato dalle rivoluzioni, Maradona si era prestato alla causa antimperialista di alcuni leader latinoamericani).

Nato povero, pur risucchiato da fama e denaro, Maradona non ha però mai dimenticato le sue origini. Conosceva la miseria e per questo sapeva essere generoso, dimostrando grande umanità, un tratto che oggi gli riconoscono in tanti.

Umano, fin troppo umano con le sue fragilità, tra luci e ombre. Ma ai grandi si è disposti a perdonare tutto, o quasi. Lo sanno gli argentini, che ora lo piangono come si piange un eroe. Lo sanno i napoletani, che lo hanno adottato come un figlio.

Del resto la storia è piena di geni che nella vita non sono stati esempi da seguire. Ma degli artisti in fin dei conti si ricordano le opere. E alcuni gol di Maradona potrebbero tranquillamente finire in un museo per la loro bellezza. Estetica del calcio.

Anche Papa Francesco — ha fatto sapere il direttore della Sala stampa della Santa Sede, Matteo Bruni — «ripensa con affetto alle occasioni di incontro di questi anni e lo ricorda nella preghiera, come ha fatto nei giorni scorsi da quando ha appreso delle sue condizioni di salute». I due argentini più famosi si erano incontrati un paio di volte in pochi giorni ai primi di settembre del 2014. La prima nell’aula Paolo vi, in occasione della Partita per la pace. Il Papa lo accolse con un paterno «ti aspettavo». «Grazie, sono felice di essere qui», rispose emozionato il fuoriclasse, regalandogli la sua maglietta col 10 della selección . «Oggi — ci confidò poco dopo con un sorriso sornione — si sono unite due potenze, la “mano di Dio” e quella del Papa».

di Gaetano Vallini