LABORATORIO - DOPO LA PANDEMIA

Un nuovo concetto
di residenza per gli anziani

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25 novembre 2020

Le calamità, soprattutto se improvvise e sconosciute come quella attuale, evidenziano in molti settori i limiti di una dotazione strutturale spesso sottodimensionata.

Le carenze, che tendono a essere presenti ovunque, risultano particolarmente consistenti in quelle strutture destinate alla cura e all’assistenza della popolazione anziana. Questa, con assoluta insipienza, viene generalmente identificata attraverso un numero — l’età — ma, ogni giorno, verifichiamo che questo valore non è univoco, fluttua costantemente, e non è un caso, proprio perché è impossibile, dal punto di vista del metodo, tentare di inquadrare come omogeneo uno status che dipende da molteplici fattori, peraltro in continua alterazione. L’età, combinata con le condizioni di salute e di appartenenza socio-economica, descrive un insieme infinito di individui, non una categoria.

La risposta a questo problema, per essere efficace, deve pertanto essere il più possibile personalizzata; conseguentemente deve promuovere un’offerta edilizia — residenza più servizi — capace di soddisfare una gamma vasta di esigenze. Solo così sarà possibile vitalizzare la partecipazione di tutti, impegnando a sostenere chi ha maggiori necessità di assistenza, ma, contemporaneamente, lasciando libero chi, di fatto ancora autosufficiente, ha la capacità di sviluppare il proprio potenziale. La proposta architettonica deve saper corrispondere a una domanda funzionale articolata, con soluzioni in grado di rendere compatibili condizioni soggettivamente diverse, che, altrimenti, sarebbero costrette all’interno della semplificata alternativa: casa di riposo o badante in casa. Nella realtà, e molte collaudate esperienze dell’Europa del Nord lo dimostrano, l’offerta può essere più ricca, proprio per adattarsi, in modo flessibile, a un ventaglio alquanto diversificato di esigenze.

Il progetto, soprattutto in questo caso, nasce dall’individuazione delle necessità, che devono costruire l’apparato funzionale della struttura edilizia, impostata su un insieme di servizi, molto attenti a fornire, in particolare, una risposta di qualità. In primis, l’architetto inquadra la soluzione, sostituendo il tema della sanità con quello della salute, intesa nei termini più generali possibili, dove gli aspetti psicologici hanno lo stesso rilievo di quelli fisici. L’obiettivo è il raggiungimento del benessere attraverso un percorso che sviluppi la massima integrazione dei soggetti coinvolti e la permeabilità dell’opera architettonica con il tessuto cittadino. Nella programmazione urbana un tema così concepito può portare a previsioni assolutamente virtuose: gli impianti non sono più orientati a risolvere un solo problema, ma combinano più impegni, facendo vivere le opere realizzate nella massima efficienza. Un riferimento concreto può essere la “residenza sociale” che si sta diffondendo con l’obiettivo di organizzare una struttura complessa, all’interno della quale conviva una comunità socialmente eterogenea, ma con esigenze e capacità complementari: studenti per lo più fuori sede, anziani, genitori soli con figli piccoli, immigrati in attesa di sistemazioni definitive, ecc. Questa composizione individua una serie di potenzialità che pongono in relazione capacità differenti, ma non in contrasto, favorendo anche il sorgere di opportunità lavorative: l’assistenza ai minori, la manutenzione e la gestione dei servizi collettivi, oltre, ovviamente, al controllo sociale dell’intero impianto.

Come sostenere la gestione di un programma così ampio e oneroso, destinato a coinvolgere più strutture sia pubbliche che private? Sicuramente il sistema pubblico ha il compito di governare l’intero processo, concordando con i privati l’affidamento di alcuni settori, soprattutto quelli che, integrando le dotazioni e i servizi primari, si dedichino al complemento delle scelte soggettive. Il modello obbliga quanti operano nella sanità a interagire con convinzione con chi ha il compito di provvedere alla fornitura dei servizi sociali. L’impegno economico dello Stato è sicuramente elevato, ma è assolutamente indispensabile e prioritario, proprio perché non si può essere impreparati di fronte a situazioni, quali questa determinata dal covid-19 in cui si è chiamati a soddisfare esigenze impreviste. Al contenimento della spesa potrà partecipare tuttavia anche il sistema diretto che lega gli utenti della struttura: in cambio di dotazioni edilizie, potranno trasformarsi in fornitori di servizi.

Questa impostazione, da trasferire come metodo nell’impianto progettuale, è volta a rendere l’anziano partecipe della vita collettiva, proiettandone su tempi più lunghi l’attività sia fisica che mentale. L’inserimento all’interno del comparto residenziale di altre attività, anche di lavoro poco invasivo, quali i laboratori artigiani, permette opportunità di guadagno, ma, soprattutto, il trasferimento di competenze che tendono a perdersi.

Per assicurare una composizione residenziale mista è necessaria una soluzione tipologica adeguata. I risultati migliori vengono dagli impianti costituiti da miniappartamenti, combinati con servizi generali di tipo familiare, come, ad esempio, la lavanderia e la mensa, che, oltre a rispondere a effettive necessità, favoriscono la socializzazione in quei luoghi di aggregazione dove convergono anziani, genitori soli e studenti. Naturalmente questi complessi organizzati per miniappartamenti sono provvisti non solo di strutture di servizio, ma anche di luoghi per gli incontri e le attività ricreative, che, molto più delle sale dedicate, spesso un po’ tristi, possono essere ricavati in spazi protetti all’aperto, come piccole piazze baricentriche all’interno del complesso, ballatoi e giardini e orti. L’architettura non deve mai perdere il carattere familiare e domestico. Il passaggio dalla propria abitazione a una struttura esterna deve prevedere una gradualità progressiva: dapprima dotare l’alloggio privato di una serie di accessori che possano renderlo più sicuro e comodo (appoggi, corrimano, poltrone meccanizzate e domotica); successivamente ospitare in uno degli alloggi già descritti, di circa 50 metri quadrati con angolo cottura e servizi igienici per disabili, assegnato individualmente, in modo che il residente lo possa completare con il suo arredo personale. Insomma, affinché i passaggi siano senza traumi improvvisi e sappiano favorire l’adattamento, l’assistenza domiciliare e la gestione delle strutture socio-sanitarie devono dipendere da un’unica “mente” capace di governare il benessere del cittadino anziano.

Dove e come costruire un ambiente così configurato, capace di comprendere l’offerta di una condizione quasi familiare e, contemporaneamente, un’assistenza sanitaria del tutto completa ed efficiente?

I luoghi che meglio di altri si prestano ad accogliere gli anziani sono all’interno delle aree urbanizzate e consolidate, dove il carattere, anche storico, è ben radicato, dove è possibile percepire il valore comunitario di una parte di città, reso stabile dalla sovrapposizione di forti tradizioni. Vanno rintracciati complessi edilizi capaci di trasformarsi in impianti ben inseriti urbanisticamente, completi di dotazioni, ma anche autonomi e riconoscibili: città all’interno della città. Ciò risulta peraltro coerente con la programmazione volta alla sostenibilità: recuperare settori che, attraverso l’implementazione e l’adeguamento dell’uso, diano continuità a un tessuto che nel tempo potrebbe perdere coesione. A questo fine si prestano anche i borghi antichi, molti in Italia, che, abbandonati progressivamente a partire dagli anni ’60 del secolo scorso, possono ospitare comunità, integrandole in un tessuto antico, incline per sua natura a potenziare i rapporti tra individui anche con condizioni di autonomia fisica diverse e, quindi, necessarie di reciproco aiuto. Le strutture da progettare ex novo o da recuperare nei centri antichi disabitati devono proporsi di favorire e agevolare il sostegno da parte degli altri.

Come per tutti i servizi che rendono efficiente la città — la scuola, i trasporti, ecc. — la salute dei cittadini, e in particolare della popolazione anziana, va inquadrata in un piano che, fuori dagli interventi di chiusura settoriale, sappia offrire continue opportunità per interagire, dosando con gradualità l’articolazione delle forme di assistenza.

Solo all’interno di questa logica progettuale sarà possibile liberarsi dai vincoli degradanti, non certo solo edilizi, degli ospizi ottocenteschi che stanno mostrando tutti i pericoli fisici e psicologici per le persone ospitate.

di Mario Panizza