EFFETTI MUSICALI
Un sottofondo sonoro ci insegue in ogni luogo e l’ascolto è diventato passivo

L’invenzione del fonografo

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25 novembre 2020

La musica è portatile. Saliamo in auto per andare al lavoro, accendiamo la radio, o inseriamo un cd, e possiamo ascoltare il brano che preferiamo. Usciamo di casa per fare jogging, con le cuffie e il nostro smartphone possiamo correre “accompagnati” dalla colonna sonora adatta. La gran parte della fruizione di musica, oggi, avviene attraverso l’utilizzo dei nostri molteplici device, in maniera totalmente “delocalizzata”. Ogni luogo è potenzialmente un buon luogo per ascoltare musica. Questa possibilità è figlia di due invenzioni, entrambe nate nella seconda metà dell’Ottocento, che hanno completamente rivoluzionato il mondo di tutto ciò che è sonoro. Il telefono e il fonografo.

Il telefono, invenzione dell’italiano Antonio Meucci, permise a due persone di comunicare, in tempo reale, da due luoghi diversi. Era qualcosa di impensabile fino a quel momento: due persone avrebbero potuto parlarsi senza essere fisicamente una di fronte all’altra. Il centro di questa invenzione risiede nel fatto che il suono viene svincolato dal luogo in cui esso viene prodotto. Un suono prodotto a Roma può essere sentito nello stesso momento a Mosca, a migliaia di chilometri di distanza. Ulteriore figlia di questa inedita possibilità fu la radio. Fino a quel momento, per ascoltare un concerto era necessario recarsi in teatro, o nel luogo dove sarebbe avvenuta l’esibizione. La musica esisteva in quel luogo preciso, nel momento in cui i musicisti la stavano suonando e alla condizione che l’ascoltatore fosse presente all’esecuzione. Dopo queste invenzioni, il suono sarà slegato dal luogo in cui viene prodotto e potrà essere diffuso ovunque creando così una situazione molto strana — anche se per noi ormai abituale —; quella del suono senza volto. Ciò che ascoltiamo alla radio è svincolato dall’aspetto visivo, il suono ci arriva senza alcuna immagine, senza la vista dei musicisti che suonano, senza, cioè, l’immagine del luogo in cui il suono viene prodotto.

Se il telefono libera il suono dallo spazio da cui esso ha origine, il fonografo, inventato intorno al 1876 da Thomas Edison, libera il suono dalle costrizioni del tempo. Esso ha la capacità di catturare il suono, registrandolo. Di far sì che esso non muoia e possa quindi essere riprodotto. Anche questa invenzione, che noi diamo per scontata quando ascoltiamo un cd o un mp3 ha un valore straordinario. Prima dell’invenzione del fonografo l’esecuzione di un pezzo per pianoforte sarebbe esistita solo nel momento stesso in cui il pianista lo stava eseguendo. Finita l’esecuzione quella musica sarebbe scomparsa, per conservarsi solamente nella memoria dei presenti. Pensiamo a cosa sarebbe successo se il fonografo fosse stato inventato qualche secolo prima: probabilmente avremmo delle testimonianze di come Bach suonasse il clavicembalo, o Paganini il violino e non dovremmo rifarci solamente a delle testimonianze scritte. Il fonografo libera il suono dalla sua caducità, in qualche modo riesce a vincere la sua morte e a far sì che un’esecuzione si conservi nel tempo, conquistando così una inedita e inaspettata eternità. Queste invenzioni hanno cambiato completamente il modo di concepire la musica, rendendola, di fatto, veramente universale. Grazie ulteriori agli sviluppi tecnologici che seguirono, la musica oggi ci accompagna ovunque (la possiamo portare con noi durante una scalata o mentre prepariamo il pranzo) e possiamo seguire in diretta un concerto standocene comodamente seduti sul divano. Oltre a ciò, la musica si è fatta più democratica, tutti se la possono permettere, chiunque può avvicinarsi a qualsiasi repertorio senza limiti. Basta una connessione internet, un computer e un po’ di curiosità.

Questo nuovo mondo, a cui noi siamo abituati e assuefatti, non è, però, privo di insidie. Tutte queste innovazioni hanno profondamente cambiato il nostro modo di ascoltare. La musica, prima, veniva ascoltata meno spesso, e da meno persone, ma in maniera più attiva, attraverso un ascolto esclusivo e dedicato. Oggi, invece, la musica è presente ovunque ma, quasi sempre, in forma di sottofondo, di colonna sonora o, per dirla con Erik Satie, di «musica d’arredamento». Ascoltiamo musica quasi mai come attività principale. La ascoltiamo quasi sempre mentre facciamo altro. Ciò che cerchiamo non è tanto l’ascolto diretto e curioso del significato che una musica porta con sé, quanto l’ambiente che essa è in grado di creare mentre svolgiamo altre attività. Ascoltiamo musica mentre lavoriamo, mentre studiamo, perché essa crea attorno a noi una sorta di “schermo sonoro”, per dirla con Marshall McLuhan, capace di isolarci dall’esterno. La musica viene utilizzata, spesso, come un indumento avvolgente e caldo in grado di creare una vera e propria bolla di distanza, e solitudine, da tutto ciò che è esterno a noi. Rari sono i momenti in cui si ascolta un pezzo musicale per il gusto di essere tratti in salvo dalla musica, di tuffarsi dentro i suoi meandri, di farsi accompagnare nel suo racconto completamente imbrigliati da colori e ritmi, per cui non esiste altro che l’universo creato dal compositore. Questa modalità di ascolto, totalmente attiva e appassionata, rimane viva nelle sale da concerto, nemmeno in tutte, e nella magia dell’esecutore che riesce a catturarti completamente e ha scaraventarti in un universo dove non v’è altro che il messaggio, nascosto tra le note, che il compositore ha creato per te.

di Cristian Carrara