Testimoni - La storia di suor Elvira Tutolo raccontata in un libro

L’Africa nel cuore

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25 novembre 2020

Suor Elvira Tutolo, classe 1950, molisana d’origine, vive a Berberati, nella Repubblica Centrafricana, da 19 anni, dopo aver trascorso otto anni in Ciad e due in Camerun. Una vita in missione, dunque, quella della religiosa delle Suore della carità di Santa Giovanna Antida Thouret, che la giornalista Antonella Salvatore ha deciso di raccontare nel libro L’Africa nel cuore (Roma, Albatros, 202, pagine 118, euro 12,50). Pubblichiamo quasi integralmente la postfazione al volume, i cui proventi saranno devoluti a suor Elvira per sostenere i suoi progetti.

La Repubblica Centrafricana è sempre stata nel cuore di Papa Francesco. Le notizie delle continue violenze che non risparmiavano la comunità cristiana, con il saccheggio di chiese e l’uccisione di sacerdoti, religiose e operatori pastorali, non lo lasciavano tranquillo. E, nonostante le difficoltà e i pericoli che la cosa avrebbe comportato, ai collaboratori più stretti spesso ripeteva l’intenzione di voler andare in quel Paese devastato per testimoniare la vicinanza alla popolazione e alla comunità cristiana, e per lanciare un appello forte alla riconciliazione.

Lo confidò anche a suor Elvira Tutolo un mercoledì — era il 19 novembre 2014 — al termine dell’udienza generale in piazza San Pietro. Quella mattina, infatti, appena saputo che quella suora veniva dalla Repubblica Centrafricana, Francesco non si limitò a una stretta di mano e a un saluto di circostanza, ma si fermò a lungo a parlare con lei. Le chiese quale fosse la situazione attuale, quale clima politico si respirasse; ne ascoltò le difficoltà e le speranze, incoraggiandola ad andare avanti. Con una promessa: appena le condizioni lo avessero permesso, sarebbe andato lì, in Centrafrica. E i due si salutarono dandosi un tacito appuntamento.

Il Papa mantenne l’impegno. L’anno successivo, il 29 novembre del 2015, arrivò a Bangui in quella che resta probabilmente la visita logisticamente più difficile e piena di rischi del pontificato, come ancora oggi ricordano quanti lavorarono per renderla possibile e poi vissero quella giornata in un clima di palpabile tensione e preoccupazione. Una visita breve, ma ricca di significati. Francesco scelse infatti la capitale della Repubblica Centrafricana per dare inizio al Giubileo della misericordia, aprendo la prima Porta Santa non in Vaticano — non era mai successo — ma nella cattedrale di Bangui. Così, anche se per un giorno, quel luogo lontano e poco conosciuto divenne il centro spirituale del mondo. Non solo. La visita papale, ancorché di una manciata di ore, fece sì che per una volta gli occhi del mondo fossero puntati su quel dimenticato Paese, segnato dalla miseria nonostante le ingenti risorse naturali, depredato da vecchi e nuovi colonialismi, ma impegnato in un travagliato cammino di riconciliazione nazionale. Un percorso che, anche grazie a quella visita, ha compiuto significativi passi avanti, ma purtroppo non ancora giunto al termine; ampie zone del Paese sono tuttora sotto il controllo di bande di ribelli interessate solo a gestire le ricchezze del territorio.

Ma se il Papa tenne fede alla parola, suor Elvira non riuscì a essere presente a quell’appuntamento tanto atteso. Un malaugurato malanno la trattenne in Italia proprio mentre il Pontefice era in Centrafrica. Ma davanti alla televisione, con commozione e gratitudine, la religiosa seguì quella storica visita; vide Francesco tra la “sua” gente, riconoscendo alcuni volti tra la folla assiepata ai bordi delle strade, e ascoltò le parole del Papa che esortavano al dialogo, alla pace. Quel dialogo e quella pace che lei metteva in pratica ogni giorno — e lo fa ancora oggi — con tenacia, attraverso attività volte all’accoglienza e al recupero di bambini e giovani strappati alla strada e alle bande armate. Questo libro è la testimonianza dell’impegno di una vita. Un’esistenza spesa per buona parte in terra di missione, tra mille difficoltà, ma ricca di gioie e soddisfazioni. Come emerge dalla lettura di queste pagine, ci sono stati anche momenti tristi e drammatici; non sono mancati neppure attimi di scoramento. Ma suor Elvira, tipa tosta e determinata che non si arrende facilmente, non ha mai mollato, trasformando ogni ostacolo da superare in un obiettivo da raggiungere, ogni difficoltà in una sfida da vincere. E siccome nulla è impossibile a Dio — e lei, direbbero i Blues Brothers, è in missione per conto di Dio — ha sempre guardato avanti con fiducia, confidando nella divina provvidenza. E continua a farlo quotidianamente, con risultati incredibili, nonostante i pericoli.

E che i rischi siano tanti lo testimoniano alcuni drammatici episodi qui raccontati e i messaggi che suor Elvira invia ai suoi amici e sostenitori attraverso i social media. Infatti, oltre alle notizie sui progressi compiuti e alle foto dei suoi ragazzi intenti a imparare un mestiere, delle giovani mamme che coccolano sorridenti i loro bimbi, dei papà felici di avere finalmente un lavoro e una prospettiva di futuro, alcuni di quei messaggi documentano ancora con crudezza episodi di violenza e omicidi. Attacchi compiuti anche non lontano da Berberati e che, come in passato, non risparmiano la comunità cristiana. Ma chi può fermare questa piccola, grande donna che non teme di prendere a ceffoni, dinanzi ai suoi uomini armati, il capo di una banda di ribelli che non vuole ascoltarla?

Suor Elvira è parte di quell’Italia esemplare — la parte migliore si potrebbe dire — composta da molte più persone di quanto si pensi. Uomini e donne che agiscono senza far rumore, preferendo operare nell’ombra, lontano dai riflettori. Persone che quotidianamente si sporcano le mani, s’impegnano per il bene comune, costruendo ponti anziché muri, aiutando chi è più debole e ha più difficoltà, che si tratti del vicino della porta accanto o degli abitanti di una terra lontana. Oggi, tra i tanti slogan partigiani e svuotati di significato da ciniche strumentalizzazioni che risuonano un po’ ovunque, dal mondo della politica a quello dei social, ce n’è uno ricorrente: aiutiamoli a casa loro. Una frase urticante e subdola quando cela solo atteggiamenti di chiusura, di non accoglienza, ma che si fa concreta speranza laddove racchiude in sé un impegno reale di condivisione. Ecco, suor Elvira ha scelto di aiutarli a casa loro. E a questa missione sta dedicando la vita. Ed è bello che nel farlo abbia via via coinvolto anche tante persone qui in Italia, che la sostengono in vari modi.

Un’opera meritoria che non è sfuggita al capo dello Stato, Sergio Mattarella, il quale, conferendo un’alta onorificenza alla religiosa, l’ha indicata ai connazionali come modello di impegno civile, di dedizione al bene comune e di testimonianza dei valori più alti della Repubblica. Perché, in un’Italia che si scopre sempre più chiusa e sempre meno accogliente, proporre esempi positivi può contribuire ad alzare un argine alla preoccupante emorragia di umanità che sta impoverendo la nostra società.

di Gaetano Vallini