Ricordo del gesuita Giandomenico Mucci

«Cor ad cor»
padre spirituale di tutti

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24 novembre 2020

Una profonda gratitudine, non priva di commozione, mi porta a ricordare il compianto padre Giandomenico Mucci, s.j., che ha concluso ieri il suo cammino terreno. È stato padre spirituale mio e di tanti confratelli impegnati nel servizio diplomatico della Santa Sede. Questa testimonianza è anche il frutto di sentimenti condivisi in queste ore con diversi di loro, che come me lo hanno conosciuto e apprezzato fin dalla Pontificia Accademia ecclesiastica, di cui, a partire dal 1988-1989, è stato per un trentennio padre spirituale.

Formatore di generazioni di diplomatici pontifici, lo ricordiamo mentre, vestito senza fronzoli e con incedere spigliato seppur claudicante, raggiungeva il suo posto per tenerci memorabili conferenze spirituali. Destava meraviglia che sul tavolo non posasse altro che il suo vecchio orologio. Spoglio di appunti ma ricco di parole, il suo eloquio sorprendeva: quanto gli usciva dalla bocca si poteva trascrivere e pubblicare sine glossa. Il valore di quanto diceva non risiedeva tuttavia nella forma letteraria e nemmeno nella profusione di autori citati (tutti amici venerabili, coi quali assicurava che non si sarebbe mai annoiato nell’eternità), bensì nei contenuti. Nelle sue meditazioni accuratamente cronometrate (non sforava mai i tempi), da fedele figlio di sant’Ignazio sapeva distillarci l’essenziale: la guida dello Spirito Santo, protagonista della vita spirituale (mirabili i suoi commenti ai sette doni); la purificazione del cuore, per lui “l’arte somma” del vivere; la preghiera, mai limitabile a pratiche e a riti, ma destinata a portare il cuore al Signore, in un’effusione trasparente di affetti, stando “come bimbi davanti alla Maestà di Dio”, secondo le parole dell’amata santa Gemma Galgani. Questione di affetto, non di conoscenza: cor ad cor loquitur diceva Newman e ripeteva padre Mucci.

Cor ad cor: valeva nel rapporto con Dio e in quello con noi. Vicino e disponibile, lasciava volentieri gli impegni che aveva per incontrarci. E non mancava di ricordarci e accompagnarci anche dopo, durante il servizio nelle nunziature apostoliche, provando a immaginare quel che vivevamo, persino avvertendo come problemi suoi i rischi della distanza e della solitudine, sempre raccomandandoci di non dimenticare l’unione con Dio, chiave di tutto a ogni latitudine.

Cor ad cor: una volta mi citò quanto attribuito a san Giovanni xxiii, ovvero che non saremmo dovuti essere solo le orecchie tese, ma soprattutto il cuore pulsante del Papa, perché solo col cuore si sente, solo col cuore — disse — si è «all’ascolto del grido del mondo». Nella fede come nella quotidianità ci teneva, insomma, che si andasse all’essenziale. Non perdeva perciò l’occasione di richiamare, senza peli sulla lingua, sobrietà di vita e frugalità nei costumi, stigmatizzando certe manie del clero e sbeffeggiando ricercatezze inutili e quanto, vano in questo mondo, a nulla avrebbe giovato nel mondo che verrà. Attendevamo in questo senso le sue massime, ironiche e argute, declamate con un filo di voce e un sorriso stretto; sapevamo, per sua ammissione, che la compostezza del religioso e il rigore dello studioso non erano riusciti a estirparne l’indole libera.

Libertà di spirito che si coniugava alla perfezione con la disciplina ignaziana. Lo si vedeva negli articoli de «La Civiltà Cattolica», fino alla fine ostinatamente scritti a mano — l’amore alla penna gli era naturale, ma alla tastiera proprio no — e segnati da quel suo linguaggio limpido e chiaro con il quale non aveva la presunzione di insegnare, ma il gusto di compaginare il pensiero, perché fosse eco di un ordine più profondo, quello di chi sente e gusta le cose internamente.

Fino alla fine. Nelle ultime settimane non si era acuita solo la malattia, ma la vigilanza dello spirito. Così che la morte non l’ha trovato impreparato, perché da tempo era pronto all’incontro e parlava senza ritrosia della fine, via per raggiungere il Fine. Nelle ultime volontà ha disposto che il suo corpo venga tumulato lontano da Roma, dove era di casa presso un istituto religioso, dimora accogliente per ragazze madri e per i loro figli. Lì era sempre atteso e apprezzato per il suo consiglio paterno e per la sua premura di “nonno”. La vicinanza ai semplici e ai provati dalla vita gli veniva spontanea: era padre spirituale fino in fondo, di tutti, senza preferenza di sorta.

Un’ultima predilezione non può essere trascurata, quella per la musica classica. Ultimamente lo commuovevano in particolare alcune parole della «Passione secondo Matteo» di Johann Sebastian Bach, che il coro indirizza a Cristo: Wenn ich einmal soll scheiden, so scheide nicht von mir: wenn ich den Tod soll leiden, so tritt Du dann herfür (“Quando un giorno mi dovrò congedare, non congedarti da me: quando dovrò subire la morte, Tu vieni a me!”). Padre Mucci le ripeteva in lingua originale: non era solo una citazione amata, ma una preghiera accorata. Era il desiderio di incontrare nella morte Colui che più ha desiderato nella vita.

di Luigi Roberto Cona
Assessore per gli affari generali della Segreteria di Stato