INTERMEZZI BEETHOVENIANI
Epigoni e copie

Un genio molto suscettibile

Beethoven icona pop in una elaborazione grafica pubblicata su theconversation.com
21 novembre 2020

Beethoven non amava esibirsi in pubblico al pianoforte, ma chiaramente per ragioni di opportunità e per compiacere principi e conti che erano tra i suoi protettori e dedicatari delle opere doveva cimentarsi il più delle volte controvoglia in questa prassi assai diffusa nei salotti viennesi dell’epoca.

Eppure le fonti ci riferiscono di improvvisazioni eccezionali, stupefacenti, non tanto per il virtuosismo quanto per la ricchezza di pensiero nelle idee tematiche, nelle modulazioni, nell’architettura complessiva di quello che sembrava già un pezzo completo. Ma c’è ovviamente spazio anche per delle gustose curiosità.

Al riguardo le sue biografie tramandano alcuni episodi particolari, grotteschi e paradossali, di cui furono involontari protagonisti altri musicisti, perfino alcuni dei suoi allievi.

A farne le spese fu ad esempio Friedrich Himmel, Kappelmeister di Corte a Berlino, cui capitò di incrociare Beethoven proprio a Vienna durante una serata di alta società. I presenti chiesero a Beethoven di improvvisare qualcosa e il musicista sebbene riluttante accettò e suonò magnificamente. Subito dopo fu Beethoven stesso a chiedere a Himmel, che godeva comunque di una buona fama, di esibirsi. Fu un gesto di gentilezza? Oppure una provocazione? Fatto sta che Himmel si mise al pianoforte emozionatissimo e accennò anzitutto un tema sul quale costruire delle variazioni.

Trascorre poco più di un minuto e Beethoven guardandolo perplesso gli si rivolge brutalmente «ebbene, quando volete cominciare a fare sul serio?». Lo dice così, quasi senza espressione, come fosse il commento più normale da fare. Himmel ovviamente ci rimane malissimo, si alza di scatto e lo accusa di essere un villano. Poi imbocca la porta e tra lo sconcerto dei presenti se ne va sdegnato.

Ma una sorte ancora peggiore toccò a Ferdinand Ries allievo e amico devoto di Beethoven, che un pomeriggio aveva ascoltato il Maestro eseguire l’andante di una sonata per pianoforte appena composta. Uscito di lì in preda a una sorta di eccitazione, va a raccontarlo al principe Lichnowsky, buon amico di entrambi. L’aristocratico mentore però non si accontenta delle parole ma gli chiede di accennargli al pianoforte quei passaggi che crede di ricordare. Ries non ci pensa due volte e si mette allo strumento. Passano così tutta la serata e anche Lichnowsky si alterna al pianista e finisce per memorizzare qualche spunto. Al mattino seguente poi escogita quella che a lui sembra una gustosa trovata: senza pensarci troppo si reca subito da Beethoven chiedendogli candidamente se abbia voglia di ascoltare una sua breve composizione. Il Maestro, che non si è svegliato di ottimo umore, nicchia e non gli dice un chiaro sì ma lui si mette al pianoforte ed esegue proprio un pezzo di quella sonata. Bastano pochi passaggi e Beethoven riconoscendo tratti della sua composizione si infuria e lo caccia via di casa. Ma non solo, da quel giorno impedirà all’allievo di presenziare alle sue improvvisazioni.

L’uomo, che amava i suoi amici però sapeva riconoscere i propri limiti caratteriali. Con la stessa repentinità si sarebbe prodotto in fluviali lettere di scuse. «Ma sapete — diceva — quanti pianisti a Vienna sfruttano il mio genio copiando le mie cose».

di Saverio Simonelli