Oltre due milioni di bambini necessitano aiuti e l’Onu chiede corridoi umanitari

Etiopia: non si fermano i combattimenti nel Tigray

Refugees from the Tigray region of Ethiopia region wait to register at the UNCHR center at Hamdayet, ...
21 novembre 2020

Il segretario generale dell’Onu, António Guterres, ha chiesto l’apertura di «corridoi umanitari» in Etiopia. «Siamo molto preoccupati per la situazione, in particolare per il drammatico impatto umanitario di ciò che sta accadendo», ha detto ieri Guterres parlando con i giornalisti al Palazzo di Vetro. «Stiamo facendo tutto il possibile per mobilitare il sostegno umanitario per i rifugiati che sono già in Sudan, più di 20.000. Abbiamo chiesto il pieno rispetto del diritto internazionale umanitario, l’apertura di corridoi umanitari, e tregue che potrebbero essere necessarie per la fornitura degli aiuti nelle aree di conflitto».

I numeri parlano da soli. «All’interno della regione dei Tigray, l’accesso limitato e l'interruzione delle telecomunicazioni in corso hanno lasciato un numero stimato di 2,3 milioni di bambini nel bisogno di assistenza umanitaria e irraggiungibili», ha spiegato Henrietta Fore, direttrice generale del Fondo dell’Onu. «Circa 12.000 bambini, alcuni dei quali senza genitori o parenti, sono a rischio e cercano rifugio nei campi e nei centri di registrazione».

Molti dei campi di fortuna allestiti nel confinante Sudan sono sovraffollati: i rifugiati devono fronteggiare «problemi relativi a condizioni insalubri e limitato accesso ad acqua e cibo» dicono fonti Onu. Fore ha sollecitato «tutte le parti in guerra a garantire l’accesso umanitario, nonché ad astenersi dall’utilizzo di esplosivi in aree densamente popolate». Diverse organizzazioni umanitarie, le autorità sudanese e le comunità locali stanno assistendo, per quanto possibile, i fuggiaschi, distribuendo cibo e beni di prima necessità, installando punti d’acqua, montando tende e altri ripari provvisori. Con il continuo arrivo di nuovi rifugiati, il lavoro degli operatori umanitari diventa sempre più gravoso e difficile.

Sul piano militare, le forze del Fronte Popolare di Liberazione del Tigray (Tplf), il partito al potere nella regione, sono state accusate di aver lanciato razzi contro la città di Bahir Dar, nella vicina regione di Amhara. Il governo regionale dell’Amhara ha riferito che i razzi non hanno causato danni o vittime. La regione, che ha da tempo in corso una disputa sui confini con il Tigray, ha mandato le sue truppe a sostegno di quelle di Addis Abeba. «Sospetto che i razzi fossero indirizzati contro Amhara Mass Media Agency, l’aeroporto e una torre di telecomunicazioni vicino» ha detto Gizachew Muluneh, un funzionario delle comunicazioni locale. La scorsa settimana, il Tplf ha lanciato razzi contro Asmara, capitale della confinante Eritrea accusata di sostenere l’offensiva militare del governo federale. Etiopia ed Eritrea hanno negato le accuse del partito di governo tigrino.

Nel Tigray il governo centrale ha imposto lo stato di emergenza per sei mesi. La maggior parte delle vie d’accesso sono bloccate, telecomunicazioni e internet sono state interrotte, scarseggiano cash e petrolio, e questo rende davvero difficile dare una risposta concreta alle necessità della gente, in particolare alle persone più vulnerabili che hanno dovuto abbandonare le loro case.

Il primo ministro etiope, Abiy Ahmed, sostiene che le sue truppe hanno riportato una serie di vittorie e che presto entreranno nel capoluogo del Tigray, Macallè, città che conta mezzo milione di abitanti, è situata su un altopiano ed è la sede del governo ribelle presieduto da Debretsion Gebremichael, e leader del Tplf. Ieri — stando a fonti di stampa locali — è stata bombardata l’università di Macallè. Non ci sono notizie ufficiali su morti e feriti. Al momento, i combattimenti si stanno spostando verso il nord del Tigray, dove sono ospitati quasi centomila profughi eritrei, fuggiti negli anni dalla dittatura di Asmara.

Sul piano internazionale, l’allerta è elevata. Tibor Nagy, il responsabile per l’Africa del Dipartimento di stato degli Stati Uniti, ha espresso ieri grande preoccupazione per l’espandersi del conflitto, che potrebbe arrivare a coinvolgere anche Somalia, Sudan e l’Eritrea. Nagy ha anche sottolineato che «a questo punto sembra evidente che nessuna delle parti (governo federale e tigrini, ndr) sia interessata a una mediazione». Diciassette senatori statunitensi hanno inviato una lettera al segretario di Stato Mike Pompeo con la richiesta di contattare Ahmed per concordare un immediato cessate il fuoco.

Le radici di questo conflitto sono numerose e complesse. In Etiopia i tigrini hanno dominato la scena politica e militare per quasi trent’anni, fino all’arrivo di Abiy, che ha assunto l’incarico di premier nell’aprile 2018. Abiy appartiene all’etnia oromo. Non è stato eletto, ma nominato dalla coalizione al governo, l’Ethiopian People’s Revolutionary Democratic Front, dopo le dimissioni del suo predecessore Hailemariam Desalegn.

L’anno scorso il Tplf, in polemica con Abiy, ha lasciato la coalizione di governo. I dissensi tra Addis Ababa e Macallè si sono poi intensificati nel settembre scorso, quando il Tigray ha indetto votazioni regionali contro il parere del governo centrale.