LABORATORIO - DOPO LA PANDEMIA
Troppo poche nascite

Serve una transizione demografica

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19 novembre 2020

Dai dibattiti in corso sul piano di rinascita da finanziare con i fondi europei, è stato molto raramente affrontato un punto cruciale, quello dell’esigenza di contrastare l’inverno demografico in corso. Da troppi anni il nostro continente perde popolazione, nonostante l’immigrazione, e il tasso di natalità continua ad abbassarsi.

Pertanto, è giusto chiedersi se il piano europeo denominato «Next Generation Eu», che invita a investire risorse a favore delle generazioni chiamate a costruire l’Italia e l’Europa del futuro, possa essere utilizzato per aiutare a ricomporre l’attuale frattura intergenerazionale guardando ai reali bisogni delle famiglie.

Occuparsi dei reali bisogni delle famiglie significa oltretutto riconoscerne il ruolo insostituibile, com’è evidente in questo periodo di pandemia, in cui le famiglie e le reti di famiglie, garantendo sostegno materiale, psicologico e spirituale, hanno aiutato tanti a sconfiggere una malattia grave: la solitudine.

Rimanendo sull’analisi del fenomeno dell’inverno demografico, più volte, riferendoci all’Europa e alla nostra società, si continua a dire che siamo “vecchi”, in un’accezione negativa, come se le persone anziane non siano una risorsa e non rappresentino un dono per le comunità.

Si tratta di un equivoco molto pericoloso. Il problema non sono gli anziani, ma la mancanza di giovani e bambini!

L’assenza di equilibrio intergenerazionale rende la nostra società “anziana”, e ciò non dipende dagli anziani ma da un inverno demografico sempre più pericoloso, che fotografa comunità più sbilanciate verso gli anziani.

Questo equilibrio va ripristinato dando valore alla generatività e alla responsabilità genitoriale.

Promuovere e premiare la genitorialità tuttavia non è facile: molti pensano che iniziative di questo tipo avrebbero effetti negativi sulla libertà di scelta soprattutto delle donne, seguendo un cliché nato nel ‘68 e sviluppatosi negli anni Settanta, per poi proseguire fino ai giorni nostri.

Senza entrare nel merito culturale di un tale cliché, è tuttavia certo che oggi a essere ostacolata è la libertà di scelta genitoriale. Le coppie, che desiderano mettere al mondo bambini sono sole, spesso non capite, rifiutate anche dal mondo del lavoro e generare bambini è da molti visto come atto eroico.

Ebbene se questa cultura e prassi di c.d. autodeterminazione generativa avesse dovuto garantire la libertà di decidere di non generare, oggi, per coerenza, dovrebbe incidere e muoversi in senso opposto: occorre infatti introdurre prassi premianti che garantiscano la libertà di decidere di generare.

Pertanto, non sono più giustificabili, neppure da un punto di vista culturale, perché antirealistiche, politiche che non considerino l’attuale inverno demografico come un effettivo limite allo sviluppo economico e al benessere delle nostre comunità.

È arrivato il tempo di uno sforzo di realismo contro ogni deriva ideologica anche in campo demografico.

In questo senso deve essere letta la risoluzione adottata la scorsa settimana dai 27 membri della Federazione delle Associazioni familiari cattoliche in Europa (Fafce) dal titolo inequivocabile: «La famiglia è il cuore della ripresa post-pandemica».

Tale risoluzione non poteva arrivare in un momento più adatto, dato che nella stessa giornata del 10 novembre è stato annunciato l’accordo politico delle istituzioni dell’Unione europea in merito al piano di rilancio «Next Generation Eu».

Si tratta di un’occasione da non perdere: oggi più che mai occorre «un nuovo paradigma per mettere la famiglia e le associazioni familiari al centro delle politiche a lungo termine in Europa». Ciò significa che soprattutto i Governi nazionali sono chiamati ad utilizzare il piano di ripresa e il bilancio dell’Ue per le politiche demografiche e familiari.

Sulla stessa linea anche il cardinale Parolin, che nel suo intervento all’assemblea plenaria della Comece ha affermato come la solidarietà europea «deve interessare anzitutto il tessuto base della società che è la famiglia, attraverso apposite politiche di sostegno. Si tratta — ha continuato — di valorizzare la più importante risorsa della società civile e soprattutto di porre fine all’ormai eccessivamente lungo inverno demografico, che mina alla base il futuro stesso dell’Europa». In queste parole il segretario di Stato ha confermato e incoraggiato tutti noi a a continuare il nostro lavoro nel presentare la famiglia come cura e come risorsa per l’Europa.

Soltanto impegnando i nuovi fondi europei in maniera intelligente per delle politiche demografiche dinamiche, i proclami per un futuro più sostenibile potranno farsi concreti. Spesso si parla a giusto titolo della transizione ecologica e della transizione digitale, ma questo doppia transizione sarà fallimentare se non si terrà conto di una terza, quella demografica. Il punto è molto semplice: perché prendersi cura dell’ambiente e sostenere una digitalizzazione rispettosa della persona umana se non per i nostri figli? Da dove viene la motivazione profonda del nostro impegno in queste due transizioni se non dalla preoccupazione per le generazioni future? E allora, dove finirà questa motivazione se non ci saranno più generazioni, se ci chiudiamo alla generatività?

Ignorare la questione demografica trasformerà anche i migliori piani di rilancio in nient’altro che in un debito aggiuntivo sulle spalle dei nostri (pochi) figli. Dovremmo investire per la prossima generazione, non a sue spese.

Per fare questo è tempo di dare fiducia alle famiglie e di riconoscere il loro ruolo fondamentale per le nostre comunità.

di Vincenzo Bassi
Presidente della Federazione delle associazioni familiari cattoliche in Europa