In Pakistan il fenomeno delle “spose bambine” colpisce soprattutto le comunità cristiane e indù

Stop a un crimine

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18 novembre 2020

Maira, Huma, Safia, Maliha e tante altre: sono fra i mille volti di spose bambine in Pakistan, coinvolte in un fenomeno che, secondo dati Unicef, tocca attualmente due milioni di casi. Il tasso dei matrimoni precoci nella “terra dei puri” è altissimo: il 21 per cento delle ragazze in Pakistan si sposa prima del diciottesimo compleanno e il 3 per cento prima dei 15 anni. Il matrimonio infantile è un fenomeno generato dalla disuguaglianza di genere, da una mentalità che relega la donna in condizione di inferiorità, è frutto di usanze tradizionali (specialmente nelle comunità rurali), di norme patriarcali profondamente radicate, di accordi di nozze combinati tra famiglie o tribù, del basso livello di istruzione e anche del fattore religioso: alcuni musulmani pakistani credono, infatti, che l’islam richieda loro di dare in spose le loro figlie una volta raggiunta la pubertà.

A un fenomeno, di per sé grave, si aggiunge una caratterizzazione che risulta particolarmente odiosa per le minoranze religiose cristiane e indù che costituiscono, rispettivamente l’1,5 per cento e il 2 per cento in una nazione al 96 per cento musulmana. Le adolescenti di tali comunità rappresentano una preda facile, in quanto si riesce spesso, per radicati motivi di discriminazione religiosa, a intimidire le famiglie di origine, anche grazie alla complicità della polizia o di giudici compiacenti. Ha lanciato l’allarme di recente la Commissione nazionale Giustizia e Pace dei vescovi cattolici pakistani, notando che «la conversione forzata è diventata uno strumento importante per la persecuzione di cristiani e indù in Pakistan». L’arcivescovo Joseph Arshad, alla guida della comunità di Islamabad-Rawalpindi e presidente della Conferenza episcopale, ha rilevato con preoccupazione che «la società pakistana è diventata sempre più intollerante», segnalando che molti dei rapimenti delle spose bambine non vengono denunciati per paura di ritorsioni. «Le conversioni forzate sono troppo facilmente e troppo spesso mascherate da conversioni volontarie, lasciando le ragazze minorenni particolarmente vulnerabili», ha spiegato la commissione, chiedendo al governo di garantire loro «tutela e giustizia».

Come rileva l’ong Human Rights Commission of Pakistan, ogni anno almeno mille adolescenti delle minoranze vengono rapite e costrette a convertirsi e a sposare il loro aggressore, e il numero è tragicamente in crescita. Spiega a «L’Osservatore Romano» Anthony Naveed, parlamentare cristiano della provincia del Sindh: «L’aumento dei rapimenti e delle conversioni forzate delle adolescenti cristiane e indù è un fenomeno molto grave. Nell’attuale status sociale e politico, le minoranze religiose sono gli elementi più deboli e vulnerabili». Secondo Anjum James Paul, cattolico pakistano, presidente dell’Associazione degli insegnanti delle minoranze religiose del Pakistan, «questi rapimenti configurano il reato di pedofilia che tutta la società pakistana, in primis le autorità civili, il governo e la magistratura, devono combattere. Chiediamo un forte e deciso intervento delle istituzioni per fermare questo crimine che offre al mondo una pessima immagine del Pakistan».

Secondo il quadro giuridico vigente a livello nazionale, ai sensi del Child Marriage Restraint Act del 1929, l’età legale minima per contrarre matrimonio è di 16 anni per le ragazze e 18 anni per i ragazzi. A livello provinciale, nel 2014 l’assemblea del Sindh ha adottato il Sindh Child Marriage Restraint Act, aumentando l’età minima per le nozze a 18 anni e rendendo il matrimonio precoce un reato punibile. Anche in Punjab è stato adottato un disegno di legge che introduce pene più severe per i matrimoni sotto i 16 anni senza, tuttavia, alzare l’età minima. Nel Parlamento nazionale il disegno di legge che modificava la norma del 1929 — rendendo illegale, in modo inequivocabile, il fenomeno delle spose bambine — si è arenato e non riesce a concludere il suo iter di approvazione.

E oggi, secondo l’allarme lanciato dalle organizzazioni cristiane e da altri enti della società civile come l’ong Girls Not Brides, bisogna considerare un elemento nuovo: l’impatto della crisi pandemica che, a causa della letale miscela tra virus e indigenza, rischia di annullare anni di progressi compiuti per contrastare la pratica dei matrimoni precoci. L’opera di sensibilizzazione al riguardo non può che iscriversi nel quadro di una necessaria protezione delle minoranze religiose e dei loro diritti: ma un recente progetto di legge denominato «Protection of Rights of Minorities Bill 2020», presentato alla Commissione per gli affari religiosi del Senato del Pakistan, è stato respinto. Il testo afferma che discorsi di odio e materiale offensivo contro i non musulmani sono banditi dai libri scolastici, e suggerisce che il governo fornisca protezione a qualsiasi persona indotta a una conversione forzata, stabilendo pene fino a sette anni di carcere per i rapimenti e le conversioni forzate di ragazze delle minoranze religiose. Il rigetto della proposta di legge ha creato disappunto negli ambienti politici e sociali dei cristiani pakistani ma i battezzati non disperano e si impegneranno a presentarlo nuovamente, cercando il consenso politico necessario.

di Paolo Affatato