Nei versi di Ján Hollý, parroco-poeta, l’origine della cristianizzazione del popolo slovacco

Il cantore di Cirillo e Metodio

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18 novembre 2020

I santi Cirillo e Metodio costituiscono i pilastri che hanno sostenuto nei secoli l’identità nazionale slovacca. La lotta del popolo slovacco per l’indipendenza nazionale e prima ancora per l’autonomia culturale rispetto all’elemento magiaro, ceco e germanico, si fonda, a partire dal xviii secolo, su quella particolare idea della Grande Moravia come del primo stato slovacco e sulle figure dei due fratelli tessalonicesi visti come coloro che avevano portato il cristianesimo in quelle terre e potevano a ben diritto essere considerati non solo gli Apostoli degli Slavi ma, più esattamente, gli Apostoli degli Slovacchi.

Furono gli storici del periodo illuminista della fine del xviii secolo Juraj Papánek e Juraj Sklenár a dare fondamento al legame di Cirillo e Metodio con la Slovacchia. Essi sostenevano che la Grande Moravia fosse sorta in un territorio in cui gli slovacchi erano autoctoni fin dalla preistoria e che i santi Cirillo e Metodio, che avevano portato il cristianesimo in quell’area, insieme alla prima lingua liturgica slava, dovevano essere considerati i fondatori della cultura slovacca piuttosto che semplici inviati dell’Impero bizantino.

Si può dire che tutto il movimento, quello di Anton Bernolák, sorto intorno al 1787 con lo scopo di codificare la prima lingua letteraria per gli slovacchi, fondi la sua ideologia coscientemente e sistematicamente sulla tradizione cirillo-metodiana. Da questo movimento nasce un poeta che più di ogni altro ha dato voce alle aspirazioni di autonomia e di rinascita del popolo slovacco, utilizzando nelle sue creazioni artistiche quanto i suoi connazionali avevano elaborato sul piano teorico. Questo poeta è Ján Hollý. Nato nel 1785 a Borský Mikuláš, nella regione di Záhorie (Slovacchia occidentale), da una modesta famiglia contadina, visse una vita semplice e ritirata, da umile parroco di campagna. Non si spinse mai oltre Bratislava, dove frequentò il ginnasio, e Trnava, dove si laureò in teologia nel 1808. In quello stesso anno, ordinato sacerdote, è inviato prima come cappellano a Pobedim, poi dal 1814 come parroco a Madunice, un piccolo paese nei bassi Carpazi, dove era solito comporre i suoi versi sotto una quercia secolare nel boschetto di Mlíč, vicino casa. Rimasto gravemente ustionato in un terribile incendio che devastò la sua parrocchia nel 1843, trovò rifugio a Dobrá Voda, sempre nella regione di Trnava, ospite di un parroco amico e lì terminò la sua esistenza dopo sei anni di sofferenze e quasi completamente cieco.

Considerato il secondo poeta slovacco per grandezza, la sua fama ha risentito del fatto che egli scrisse in bernolákovčina, e cioè la lingua letteraria codificata nel 1790 da Anton Bernolák sulla base dei dialetti slovacchi occidentali, lingua che presto cadde in disuso e venne sostituita dalla norma più fortunata elaborata dal protestante L’udovít Štúr, che, basata quest’ultima sui dialetti centrali, costituisce il fondamento della lingua letteraria moderna. Se oggi la lingua di Hollý appare obsoleta, come del resto tutta la sua figura, a quell’epoca egli fu un pioniere nell’uso della lingua di Bernolák, che utilizzò per primo in funzione poetica e piegò alle sue esigenze votate ai più grandi ideali.

Hollý, sotto l’influenza di Virgilio, decide di celebrare il passato glorioso degli slovacchi, così come il poeta latino aveva cantato quello dell’antica Roma. Per risvegliare il suo popolo oppresso, sente che è necessario far leva sull’orgoglio nazionale, presentare agli occhi dei contemporanei un epico affresco delle glorie passate, riconducibili a un unico indimenticabile momento: la Grande Moravia. L’Eneide è il modello di riferimento, sia nel metro che nella struttura, soprattutto per lo Svatopluk, diviso in dodici canti. Ma con una fondamentale differenza: mentre Virgilio aveva celebrato il mito, il poeta slovacco sente di celebrare la storia reale del suo popolo.

Subito dopo aver terminato Svatopluk nel 1832, Hollý si accinse alla composizione di un nuovo poema in sei canti, questa volta dedicato ai santi Cirillo e Metodio, visti come coloro che avevano sconfitto il paganesimo nella Grande Moravia (intesa come l’insieme di Slovacchia e Moravia) diffondendovi la luce della fede cristiana. Oltre ad approfondire le circostanze legate alla cristianizzazione del popolo slovacco, il poema ribadisce con forza che il nucleo di quella compagine statuale si trovava nella zona slovacca, a est del fiume Váh, e mostra una volta per tutte che Cirillo e Metodio furono gli Apostoli degli Slovacchi. Cirillo-Metodiada era terminata già nel 1834. In una lettera a Juraj Palkovič del 15 agosto 1834 Hollý scriverà: «Da questo poema gli slovacchi impareranno come la fede cristiana sia sorta presso di loro e come si sia diffusa». La trama è esposta nei primi versi, secondo la tradizione classica: «Canto sottovoce di come, dopo molte preghiere, da Costantinopoli i fratelli Costantino e Metodio arrivarono dagli Slovacchi dei monti Tatra, di come nell’intero paese sradicarono l’idolatria senza valore e numerose genti nella verità cristiana e nella pratica della legge divina istruite, condussero alla fede salvifica; di come, incolpati dalla loro stessa Chiesa di usare la liturgia slava, riuscirono a ottenere il diritto di proferire la liturgia in questa lingua».

Seppur dal punto di vista letterario il poema Cirillo-Metodiada non possa definirsi un esperimento del tutto riuscito, tanto che anche la critica non le ha rivolto fino a oggi una grande attenzione, il suo significato “ideologico” fu di notevole portata. Si può dire infatti che Hollý con questo epos ascriva definitivamente al popolo slovacco l’eredità della Grande Moravia e dei due santi fratelli, portando a termine l’operazione iniziata dagli storici alla fine del xviii secolo. Egli, il Virgilio slovacco, diviene a questo punto per tutti “il cantore di Cirillo e Metodio”. E ciò lo si vede bene considerando lo straordinario sviluppo che la tradizione cirillo-metodiana ebbe presso gli slovacchi, da Hollý in poi divenuta riferimento indiscusso della loro identità nazionale, […] come in apertura alla Costituzione della Repubblica slovacca, varata il 1° settembre 1992: «Noi nazione slovacca, memori del lascito politico e culturale dei nostri avi e delle secolari esperienze acquistate nelle lotte per l’esistenza nazionale e statale, all’insegna spirituale dei santi Cirillo e Metodio della Grande Moravia, … dichiariamo ...». Essa è perfettamente in linea con quella tradizione storica e culturale che, elaborata nell’epoca del primo Romanticismo e codificata da un poeta del calibro di Ján Hollý, è rimasta intatta fino ai giorni nostri.

di Silvia Toscano