La figura del beato Duns Scoto nella giornata accademica all’Antonianum

Pienamente umani solo rivolti a Dio

Scoto in un ritratto di Giusto di Gand (1430-1480)
14 novembre 2020

Lunedì 9 novembre, presso la Pontificia Università Antonianum di Roma, si è svolta la tradizionale giornata accademica in onore del beato Giovanni Duns Scoto. Il tema incentrato quest’anno su «Che differenza fa Dio in filosofia? Duns Scoto, Aristotele, e i “miracoli nascosti”» ha visto impegnati padre Agustín Hernández Vidales, rettore magnifico dell’istituzione universitaria francescana, Josip Percan, presidente della Commissione scotista, e il professor Giorgio Pini. Al termine dell’atteso evento, il saluto finale del ministro generale dell’Ordine dei frati minori e gran cancelliere dell’Antonianum, padre Michael Anthony Perry.

A margine della giornata, abbiamo rivolto alcune domande al rettore magnifico e al presidente della Commissione scotista sulla figura del grande teologo francescano.

Padre Hernández Vidales, Giovanni Paolo ii nel 1998 si rallegrava della fondazione della cattedra di studi mariologici intitolati a Duns Scoto. A distanza di anni, qual è l’impegno dell’Antonianum, oggi, per divulgare gli studi su questo grande teologo?

Attualmente l’Antonianum è molto impegnato sia ad approfondire lo studio del sapere francescano nel suo aspetto generale, sia della dottrina di Scoto. Giovanni Paolo ii è stato il Pontefice che ha beatificato Scoto, il coronamento di un percorso lungo, di un grande lavoro condotto dai francescani per portare sugli altari il maestro di teologia. Bisogna, inoltre, sottolineare sul teologo francescano tre punti su cui l’Antonianum presta molta attenzione: la questione del Verbo incarnato, il “cantore dell’Immacolata Concezione” e, inoltre, il tema dell’obbedienza al romano Pontefice. Il 23 giugno 1303 segna una data importante per la vita di Scoto: per essersi rifiutato di scrivere il libello di Filippo iv contro Papa Bonifacio viii, fu costretto ad andare via da Parigi. L’Antonianum si impegna a promuovere il suo esempio di vita e a divulgare la sua immensa opera che stiamo infatti editando. È questo, soprattutto, il nostro più importante impegno: l’edizione critica a cura della Commissione scotista rimane un lavoro importante a cui la nostra università si sente chiamata.

Per Giovanni Duns Scoto e per i francescani il fine dell’esistenza umana consiste nell’impegno ad amare Dio sopra ogni cosa, a essere amati da lui e ad amarsi e sostenersi reciprocamente. L’ultima enciclica di Papa Francesco, «Fratelli tutti», ha al centro il tema della fratellanza. Scoto sottolinea questo abbraccio fraterno e lo rende vivo con la sua vita. Quanto, noi uomini di oggi, dobbiamo imparare dalla sua dottrina?

Scoto, con san Francesco d’Assisi, naturalmente, si riconoscono fratelli di tutti e delle cose della creazione. Il teologo scozzese ha ben in mente quella corrispondenza che l’essere umano deve avere verso l’infinito amore di Dio, verso i fratelli, verso tutto il creato. Questo amore deve portarci a riscoprire proprio oggi questo senso di fratellanza. Fratelli tutti — sappiamo bene — nasce da una citazione dell’ammonizione di san Francesco, e Scoto sente profondamente la vicinanza con il santo di Assisi. Il cammino di vita di entrambi dovrebbe portarci a riscoprire questo senso di fratellanza di cui abbiamo tanto bisogno oggi, come giustamente il Pontefice ha sottolineato con la sua enciclica.

Vidales ha poi fatto riferimento — nelle sue risposte — all’importanza della Commissione scotista, voce degli studi sul teologo francescano. Abbiamo posto, allora, alcune domande al presidente della Commissione per avere uno sguardo più completo e attuale sul beato. La Commissione nacque grazie all’opera di padre Carlo Balić, fondatore — tra l’altro — della Pontificia accademia mariana internazionale: il dialogo tra Maria e Scoto è uno dei punti cardine del francescanesimo, della stessa teologia del beato.

Presidente Percan, scriveva Carlo Balić, primo presidente della Commissione scotista, in merito alla teologia di Scoto: «La crescita nell’amore gratuitamente ricevuto, e liberamente donato, rende pienamente umani». In un mondo come quello che stiamo vivendo, come è possibile poter rimanere o addirittura ritornare, in alcuni casi, pienamente umani?

L’amore non è un prodotto dell’intelletto. In realtà l’amore è scelta: è questo per Scoto ed è espressione massima di quello che sono le mie capacità in cui mi riconosco rispecchiandomi nell’immagine di Dio in me. Dio è al centro di tutto: è il nostro obiettivo, sta alla fine della nostra vita. L’amore passa per relazionarsi gli uni con gli altri. Paolo e Scoto non si citano spesso, ma il ragionamento del teologo francescano passa per le stesse vie. Il mondo di oggi si sta allontanando dal Dio Amore che è anche “ordinatore”. Gli avvenimenti che stiamo vivendo sono il frutto di una pretesa dell’uomo di diventare lui ordinatore. Noi per Scoto dovremmo rimanere contingenti.

«Dico quod beata Virgo vere habuit rationem principii activi respectu corporis Christi»: è Scoto sulla maternità di Maria. Una teoria, all’epoca rivoluzionaria; si parla di funzione attiva della madre, al pari del padre. E, allora, vengono in mente le ultime dichiarazioni di Papa Francesco in merito proprio al ruolo della donna nella società, nella Chiesa, affermando che la Madonna è donna. Il dato mariologico forse più antico del Nuovo Testamento dice che il Salvatore è «nato da donna» (Galati, 4, 4). Può offrirci qualche spunto di riflessione su questo aspetto, con lo sguardo rivolto a Scoto?

Per Scoto il discorso sulla donna è concentrato soprattutto nella sua riflessione — direi quasi mistica — sul ruolo di Maria santissima. Le sue qualità non sono naturali. Ma Dio prevede e predestina il suo ruolo del tutto particolare di essere madre del Figlio divino. E la prima parola è madre, in cui possiamo ritrovare il primario ruolo della donna. La donna è origine, come dice lo stesso Papa Francesco. Scoto guarda a Maria in maniera mistica, per me questo dato è importantissimo. L’Amore di Dio è così grande che nel suo “ordine” già ha predestinato il ruolo di Maria per l’umanità intera. E Scoto lo scrive in maniera sublime, sviluppa meglio di molti altri teologi questo discorso.

di Antonio Tarallo