Un secolo fa la prima pubblicazione

Carne e spirito

Alida Valli, Massimo Serato, la piccola Mariù Pascoli ed Annibale Betrone in una scena di «Piccolo mondo antico» diretto da Mario Soldati nel 1941
14 novembre 2020

Fogazzaro nella biografia di Gallarati Scotti


La biografia che Tommaso Gallarati Scotti (1878-1966) dedicò al Fogazzaro (La vita di Antonio Fogazzaro) era già pronta nel 1914: lo scoppio del primo conflitto mondiale, poi l’entrata in guerra dell’Italia (una guerra alla quale Gallarati Scotti prese parte attiva) e altri problemi ancora ne differirono ulteriormente la pubblicazione, che vide infine la luce nel 1920. La notorietà del soggetto biografato, il rilievo del suo biografo (membro di una delle famiglie patrizie milanesi più in vista dell’epoca), la piaga ancora aperta di quella difficile pagina di storia che erano stati il modernismo e la reazione antimodernista fecero sì che sull’opera si catalizzasse l’attenzione generale, tanto che nell’anno stesso della pubblicazione, il volume vendette quasi ventimila copie.

Gallarati Scotti poté giovarsi, per la sua opera, di materiale inedito di prima mano trasmessogli in buona parte dallo stesso Fogazzaro, il quale l’aveva designato suo biografo. Grazie a tali fonti e a una spiccata propensione che lo spingeva a guardare il fondo intimo delle cose, a coglierne l’interiorità profonda al di là dei fatui fuochi esteriori, mirò a cogliere il più intimo dramma dello scrittore vicentino, caratterizzato da quell’incessante lotta della carne contro lo spirito che, a stagioni alterne, si rinnovava implacabilmente nelle sue membra. E con una forza e una lucidità che convincono il lettore, Gallarati Scotti sostiene che il vertice letterario dell’opera fogazzariana si raggiunge — come in Piccolo mondo antico — proprio quando lo scrittore ritrae questa lotta interiore nei suoi personaggi.

Punti forti di confronto e anche — lo si può dire, pur se con qualche esitazione — di riferimento, furono per Fogazzaro grandi figure di vescovi, quali Geremia Bonomelli e Alfonso Capecelatro, cardinale arcivescovo di Capua, che lo scrittore avrebbe voluto veder uscire dal Conclave del 1903 come successore di Leone xiii: pertanto, secondo quanto rivela la lettera che scrisse ad Antonietta Giacomelli già nell’agosto del 1903 e che Gallarati Scotti pubblica insieme a tante altre inedite, non esultò alla notizia dell’elezione del cardinale Sarto.

L’autore ripercorre le varie fasi dell’opera letteraria di Fogazzaro conducendo un’analisi attenta a coglierne più i movimenti reconditi che le esteriorità letterarie, o meglio, volta a mettere in risalto come fossero le palpitazioni interiori dello scrittore vicentino a dare alla sua prosa e ai suoi versi una forza di volta in volta diversa. Gallarati Scotti si rivela onesto nel ricostruire un itinerario che dovette essere certo complesso: di Fogazzaro fu discepolo, collaboratore, amico e confidente, nonché compartecipe di molte battaglie; eppure, nella sua biografia riesce a mantenere il distacco necessario a non inficiarne l’oggettività, dimostrandosi capace di evidenziare luci e ombre, grandezza e limiti del proprio maestro e sodale.

Anche nella ricostruzione dell’ultima fase della vita del Fogazzaro — grosso modo il primo decennio del Novecento, gli anni più tormentati della vicenda modernista — Gallarati Scotti sa mostrarsi appassionatamente coinvolto e distaccato al tempo stesso. Alcune sue «dichiarazioni preliminari» appaiono, a mio avviso, significative a riguardo: «Per poter essere indifferente io non dovrei sentirmi in alcun modo partecipe alla lotta religiosa di quel periodo. Dovrei aver rinnegato il mio passato o sentirlo morto in me. Ora questo non è. Sento vive le radici che mi legano a quell’ora di lotta. Non rifiuto nessuna delle mie responsabilità né delle mie azioni. Non saprei scrivere queste pagine con la fredda curiosità con cui farei l’analisi di un episodio religioso del secolo xvi. Ma d’altra parte se il mio passato non è spento in me, io non mi sento nemmeno legato ad esso come ad una cosa morta. Esso vive in me che sono vivo e cammino. La fedeltà non è arresto a un momento della vita, ma dev’essere progresso. Chi pensa e giudica si rinnova in sé ad ogni alba, senza rifiutar nulla della eredità della vigilia. Perciò nessuno si attenda l’apologia intransigente di quelle che furono le posizioni di ieri. Oggi guardo con occhi nuovi e da un piano più elevato le posizioni superate e perciò non saprei ripetere le parole d’ieri. Nessuno interpreti come abbandono la sincerità piena, nessuno sia offeso dal giudizio franco. Sono un libero che giudica liberamente delle cose che ha amato».

Poste tali premesse, Gallarati Scotti restituisce l’atmosfera di quegli anni potendosi giovare di molta documentazione di prima mano. Riconosce senza titubanze che Fogazzaro prese parte alla battaglia condotta dal modernismo tra le file dei suoi elementi più moderati ed equilibrati; tuttavia, ascrive lo scrittore vicentino piuttosto alla tradizione del cattolicesimo liberale, impersonata da pensatori e scrittori quali Gioberti, Manzoni, Rosmini, che certamente impressero su di lui un’orma ben netta e visibile. E certo — aggiungo — Fogazzaro non può essere sospettabile di simpatie per gli elementi più turbolenti di quella difficile stagione, quali furono in Italia Salvatore Minocchi e il giovanissimo (allora) Ernesto Buonaiuti. Più cordiali e solidi si rivelano invece i suoi rapporti con figure di rilievo internazionale, quali Sabatier, Tyrrell e lo stesso Loisy, dal quale però si allontanò progressivamente, man mano che questi finì per dissolvere la sua fede.

Fogazzaro, in definitiva, pur partecipe delle tesi evoluzioniste di Darwin, pur desideroso di un cattolicesimo illuminato, fu interessato più a una riforma interna che a sottili discussioni teologico-filosofiche (per le quali mancava anche degli strumenti necessari), si dimostrò più attento alla vita del clero e alla possibilità che i laici partecipassero attivamente alla vita della Chiesa di quanto non fosse attratto da sottili questioni esegetiche.

Com’è noto, la biografia di Fogazzaro fu messa all’Indice nel 1921, perché ritenuta fautrice delle tesi moderniste. Una nuova edizione del testo — riveduta con i suggerimenti del domenicano padre Cordovani, ma senza apportare mutamenti sostanziali — si poté pubblicare nel 1934, sotto il pontificato di Pio xi (un Papa che l’autore conobbe di persona fin dalla sua infanzia); una terza, infine, nel 1963, nella cui prefazione Gallarati Scotti non mancò di reagire al giudizio fortemente negativo che del modernismo italiano aveva dato don Giuseppe De Luca (un giudizio, sia detto per onestà, eccessivamente severo). Riprendere in mano La vita di Antonio Fogazzaro a un secolo esatto dalla sua pubblicazione, in un tempo nel quale è possibile guardare in modo più disteso a quell’epoca e ai suoi protagonisti, consente di cogliere le forti idealità che mossero tanto l’autore del libro quanto il suo biografato, spingendo perciò a idealità più alte.

E ciò non è davvero di poco conto, in un tempo nel quale siamo sovente bersagliati da banalità, quand’è la paura l’arma prediletta per guadagnare il consenso.

di Felice Accrocca