Non sono numeri

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13 novembre 2020

Non conoscono sosta le stragi di migranti nel Mediterraneo. Sono quasi cento le persone morte ieri in due naufragi davanti alle coste della Libia.
Lo ha reso noto l’Organizzazione mondiale delle migrazioni (Oim), parlando di 74 annegati al largo di Khums. L’imbarcazione colata a picco trasportava oltre 120 persone, tra cui donne e bambini. Quarantasette sopravvissuti sono stati portati a riva dalla Guardia costiera libica e da pescatori. Proseguono le ricerche di eventuali superstiti, fa sapere l’Oim.
E intanto l’organizzazione umanitaria Medici senza frontiere ha denunciato oltre venti vittime in un successivo naufragio sempre al largo della Libia. Ennesime tragedie che hanno coinvolto almeno altri otto affondamenti di fatiscenti imbarcazioni nel Mediterraneo centrale dal primo ottobre. Un bollettino di morte per chi cerca di fuggire dalla Libia che si allunga a dismisura.
Questa mattina l’organizzazione Alarm Phone ha lanciato un appello alla Guardia costiera italiana per altri 89 migranti alla deriva a sud della isola di Lampedusa.

Altri 94 sempre ieri,  davanti alle coste libiche, dopo i sei di poche ore prima  più al largo. Cento in un solo giorno in tre naufragi nel Mediterraneo. Quasi mille morti dall’inizio dell’anno. Per tanti si tratta solo di numeri. Una fredda contabilità, statistiche da aggiornare. Poi vedi le immagini, crude, drammatiche: corpi in balia delle onde; mani che affiorano a fatica tra urla disperate per chiedere salvezza, altre che si protendono per  salvare; il tutto in momenti di angosciante concitazione. E poi quelle, terribili, dei corpi senza vita adagiati sulle imbarcazioni dei soccorritori o allineati sulla battigia. Eccoli quei numeri, riconsegnati alla loro realtà. Persone, uomini, donne, ragazzi, bambini. Quelli che ce l’hanno fatta e quelli che purtroppo sono morti, aggrappati a una speranza di futuro che non si realizzerà.

Padri, madri, figli. In rete in queste ore gira il video straziante della mamma di Joseph. La si vede disperata su un gommone di Open Arms, che urla più volte in inglese di aver perso il suo bambino. I soccorritori lo troveranno: un piccolo di appena sei mesi che morirà qualche ora dopo.  Il  grido di questa mamma richiama quelli di altre, troppe madri che si sono viste strappare i figli dalle braccia, ingoiati dal mare; figli salutati l’ultima volta su una spiaggia  e mai più rivisti. Un grido che  dovrebbe continuare a risuonare nelle orecchie e nelle coscienze di quanti finora sono rimasti sordi dinanzi alla tragedia infinita che si consuma da anni  nel Mediterraneo.

In Europa si sta rivedendo il regolamento di Dublino, giungendo  a un testo  che rappresenta un passo avanti, ma che è ancora migliorabile. In Italia, con Grecia e Spagna  uno dei paesi di primo approdo, sono stati cancellati  i decreti sicurezza e anche qui le norme relative ai migranti sono state riscritte cancellando alcune norme troppo restrittive. Ma si può e si deve  sempre fare di più e meglio, come dimostrano le tragedie consumatesi ieri.

 Le ong, per mesi oggetto di una campagna denigratoria smascherata da numerose indagini  e di fatto  rimaste le uniche a prestare soccorso ai migranti in mare, non dovrebbero essere  lasciate sole, tantomeno ostacolate, semmai sostenute e affiancate. C’è un obbligo di soccorso al quale gli Stati non dovrebbero  sottrarsi, al pari di quello di accogliere chi fugge da situazioni di pericolo,  e che prescindono da ogni posizione e strumentalizzazione politica sul fenomeno migratorio. L’Europa non dovrebbe sottrarvirsi. Ma ha ragione monsignor Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo. «La politica   ha paura — come afferma in un’intervista a Vatican News —,  i governi hanno paura dell’opinione pubblica che purtroppo vive di certe derive di carattere ideologico e sovranista e che hanno condotto verso approdi disumani.  La politica cerca consensi e queste operazioni di salvataggio e di soccorso non creano alcun tipo di consenso».

Eppure ci sono altre strade percorribili, come i corridoi umanitari già sperimentati con successo, per salvaguardare vite sottraendole al turpe traffico  di esseri umani. E si possono trovare modalità di accoglienza che garantiscano  sia chi arriva che chi ospita. Quella del Mediterraneo non può continuare a essere «la rotta  più mortale del mondo», come l’ha definita Federico Soda, capo missione dell’Organizzazione mondiale delle migrazioni in Libia.

Ma ancora oggi troppe persone non vedono altra alternativa, nonostante i rischi. Persone che avrebbero diritto a una vita migliore. Perché se nessuno può scegliere dove nascere, chiunque dovrebbe poter scegliere dove vivere. E la frontiera, come auspica Marc Augé, non dovrebbe essere «un muro che vieta il passaggio, ma una soglia che invita a passare».

di Gaetano Vallini