Migliaia di profughi verso il Sudan

Etiopia: crisi nel Tigray

Bambina nella città etiope di Gondar (Afp)
13 novembre 2020

La situazione interna all’Etiopia, scossa da tensioni politiche e militari, è sempre più critica. L’escalation di violenza, che non accenna a fermarsi, sta assumendo repentinamente i contorni di una guerra civile da tempo temuta.

Con circa 115 milioni di abitanti la Repubblica Federale d’Etiopia è, dopo la Nigeria, il secondo Paese africano più popoloso, abitato da differenti popolazioni, fra le quali gli oromo (34%), gli amhara (27%), i tigrini (6%), i somali (6%) e i sidamo (4%).

Sono già centinaia le perdite di entrambe le parti dopo più di una settimana di combattimenti tra le Forze armate federali dell’Etiopia e il Fronte di liberazione popolare del Tigray (Tplf), partito di governo dello Stato etiopico del Tigray, con capitale Macallè. Il governo di Addis Abeba ha ordinato il 4 novembre un’offensiva contro i soldati tigrini, accusati di aver attaccato una base militare federale nel Tigray.

Venerdì il primo ministro etiopico, Abiy Ahmed, ha affermato che «l’operazione militare ha obiettivi chiari, limitati e raggiungibili: ripristinare lo stato di diritto e l’ordine costituzionale», proclamando contestualmente lo stato di emergenza per sei mesi. Il giorno successivo, in una sessione straordinaria la Camera Alta della Federazione etiopica — uno dei due rami del Parlamento — ha approvato il dissolvimento del governo del Tigray, dichiarandone illegale l’attuale amministrazione. Le tensioni fra il Tplf, per un quarto di secolo il partito più potente della nazione, e il governo federale attuale sono venute aumentando, da quando Abiy Ahmed — oromo — nell’aprile 2018 è diventato primo ministro dopo le dimissioni di Hailemariam Desalegn. Dal 1991, quando fu posta fine al regime militare di Menghistu Haile Mariam, il Tplf è stato il partito maggioritario del Fronte democratico rivoluzionario del popolo etiopico (Eprdf), la coalizione governativa composta anche dal Partito democratico Amhara, dal Partito democratico Oromo e dal Movimento democratico dei popoli dell’Etiopia meridionale, dominando la scena politica fino a due anni fa. Nello stesso anno Abiy ha dissolto l’Eprdf, dando vita ad un unico partito nazionale — il Partito della prosperità — al quale tuttavia il Tplf non ha inteso aderire, perché convinto della marginalizzazione che subirebbero i propri quadri.

Nel 2019 Abiy ha ricevuto il Premio Nobel per la pace, per aver decretato assieme al suo omologo eritreo la fine della guerra fra Eritrea ed Etiopia, esplosa tra il 1998 e il 2000 e rimasta congelata per venti anni.

Le elezioni generali in Etiopia, che si sarebbero dovute tenere ad agosto, sono state rinviate a causa della pandemia da covid-19. Tuttavia lo scorso settembre il Tigray ha deciso unilateralmente di recarsi alle urne, in aperto contrasto con le direttive nazionali, innescando così un processo di delegittimazione fra Macallè e Addis Abeba, che si accusano inoltre reciprocamente di aver aperto le ostilità.

L’attuale conflitto armato con il conseguente irrigidimento delle posizioni di entrambi gli attori accentua le divisioni interne, anziché favorire quel complesso processo di riconciliazione nazionale di un Paese costruito sul federalismo etnico. L’Etiopia è sull’orlo di una guerra civile, non solo rischiando d’interessare gli altri Stati della federazione etiopica, ma anche con ricadute regionali verso le nazioni confinanti. Infatti martedì 10 novembre il presidente del Trigray, Debretsion Gebremichael, ha accusato il coinvolgimento nel conflitto della confinante Eritrea a favore delle forze federali etiopiche, benché sia Asmara sia Addis Abeba lo abbiano smentito. L’Unione africana, con sede proprio nella capitale etiopica, assieme con l’Unione europea e l’Onu ha esortato le parti alla cessazione immediata delle ostilità, perché minacciano di destabilizzare l’Africa Orientale, una regione tanto strategica quanto instabile e vulnerabile.

Una crisi umanitaria è alle porte in un’area già fortemente colpita da numerose criticità. Nel Tigray 600 mila persone dipendono esclusivamente dagli aiuti alimentari.

Inoltre se sono già circa 10mila i profughi etiopici che si sono riversati in Sudan in fuga dai combattimenti, fonti Onu indicano che in breve potrebbero arrivare a circa 200 mila le persone che attraverseranno il confine, ora chiuso da Khartoum per il timore di non essere in grado di gestire una tale massa di rifugiati.

L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) ha però sollecitato i governi dei Paesi confinanti a tenere le frontiere aperte e ad accogliere i profughi.

di Alicia Lopes Araújo