In tempo di pandemia l’impegno dell’Unhcr per la fine dell’apolidia

Dieci milioni di invisibili

Ethnic Akha women, once regarded as stateless, holding their Thai citizenship identity cards in ...
13 novembre 2020

Porre fine entro il 2024 a quello che, nel xxi secolo, rappresenta un affronto all’umanità, l’apolidia. Questo l’obiettivo dichiarato dall’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), Filippo Grandi, in occasione del vi anniversario della campagna #IBelong, intrapresa proprio dall’Unhcr per assicurare inclusione e protezione agli individui e a quelle minoranze etniche apolidi: i cosiddetti invisibili senza patria e senza cittadinanza. In questi sei anni, grazie a #IBelong, circa 350.000 apolidi hanno acquisito una nazionalità in diversi Paesi quali Kirghizistan, Kenya, Tagikistan, Thailandia, Russia, Svezia, Vietnam, Uzbekistan e Filippine.

La crisi sanitaria ed economica innescata dalla pandemia ha aggravato ulteriormente le già difficili condizioni in cui vivono i circa 10 milioni di apolidi presenti nel mondo e ha amplificato le ingiustizie di cui sono vittime. Sebbene sia difficile raccogliere dati su scala mondiale, secondo l’Unhcr vi sarebbero 4,2 milioni di apolidi in 76 Paesi. Tuttavia, si ritiene che il numero reale sia significativamente più elevato – e appunto prossimo ai 10 milioni – dal momento che le popolazioni apolidi non sempre sono tenute in considerazione o incluse nei censimenti nazionali.

Nella maggior parte dei casi infatti non hanno accesso anche solo ai più basilari diritti fondamentali quali l’istruzione, la salute, il lavoro, il voto e la libertà di movimento. Una grave carenza che li espone a continui ostacoli, esclusioni e rischi di discriminazione, li rende vulnerabili a sfruttamento e abusi, e spesso li costringe a migrazioni ed esodi forzati. Oltretutto, vivono abitualmente in condizioni sanitarie precarie e non conformi alle norme di minima igiene, fattore che determina un aumento del rischio di contrarre malattie. Il tutto, il più delle volte, a un livello di povertà estremo.

«Una pandemia non fa distinzioni tra cittadini e non cittadini. Non è nell’interesse di alcuno Stato, società o comunità ospitare persone costrette a vivere in tale condizione e ai margini», ha dichiarato Grandi. Rivolgendosi ai leader di tutto il mondo li ha invitati ad adottare rapidamente misure coraggiose per sradicare tale fenomeno e non lasciare ulteriormente indietro gli apolidi: «L’apolidia rappresenta un problema che si può facilmente risolvere e prevenire, una questione di volontà politica di cambiare lo status e la vita delle persone. Eppure, le conseguenze di non agire, specialmente nel mezzo di una pandemia, possono rivelarsi letali», ha dichiarato ancora.

Non potendo accedere ai servizi essenziali di salute pubblica e di sicurezza sociale gli apolidi «sono stati lasciati in condizioni di estrema vulnerabilità di fronte a questa pandemia», ha aggiunto l’Alto Commissario per i rifugiati. In molti Paesi, inoltre, le persone apolidi potrebbero temere di presentarsi per sottoporsi ai test o ai trattamenti in ragione del proprio status giuridico, condizione che può esporli al rischio di detenzione o di deportazione. Secondo l’Agenzia Onu i Paesi con maggiore capacità di leadership hanno incluso le persone apolidi nei propri piani di risposta al covid-19, assicurando che avessero accesso a test e cure, cibo, indumenti adeguati e mascherine. Alcuni governi hanno reso la registrazione delle nascite e il rilascio di altri documenti di stato civile un servizio essenziale, continuando ad assicurarne l’operatività nonostante la pandemia e contribuendo, in tal modo, a prevenire l’emergere di nuovi casi di apolidia.

di Fabrizio Peloni