La crisi thailandese non riesce a trovare una via d’uscita

A demonstrator gestures towards police, during a rally to call for the ouster of Prime Minister ...
11 novembre 2020

La Thailandia è segnata da forti tensioni politiche. Il movimento di protesta studentesco manifesta, ormai da settimane, chiedendo una nuova Costituzione in grado di controllare la monarchia, la fine delle violenze subite dall’opposizione e le dimissioni del primo ministro Prayuth Chan-ocha, che ha assunto il potere nel 2014 grazie ad un colpo di Stato e che è stato riconfermato alle consultazioni parlamentari del 2019. Le richieste degli studenti non sono state accolte dall’esecutivo e sembra difficile che potranno esserlo nel prossimo futuro. L’ex generale Prayuth Chan-Ocha è ideologicamente lontano dalla piazza ed è improbabile che possa scendere a compromessi con essa.

Il grosso delle proteste, come confermato dalla dottoressa Giulia Sciorati, analista presso l’Ispi, è concentrato nella città di Bangkok e queste ultime potrebbero portare ad un ridimensionamento del ruolo della monarchia, un’istituzione tradizionalmente molto amata e rispettata dai cittadini del Paese. Le dimostrazioni, secondo la dottoressa Sciorati, non sarebbero supportate da Stati esteri ma frutto di un movimento politico spontaneo ed interno. Non è escluso, però, che i grandi assembramenti di persone possano favorire una maggiore diffusione del virus sars-cov-2 all’interno della Thailandia, che sinora è stata risparmiata dalla pandemia. Il governo potrebbe cercare di limitare le proteste adducendo (anche) motivi sanitari e ciò potrebbe mettere in difficoltà i dimostranti.

Le forze armate thailandesi vogliono preservare il potere della monarchia perché questo ultimo è di vitale importanza per la loro stessa sopravvivenza. Il movimento di protesta attaccando direttamente la monarchia è riuscito, paradossalmente, ad allargare la propria base di consenso e ad ottenere il supporto di una parte dei cosiddetti colletti bianchi, dei colletti blu, di persone provenienti dalle classi sociali più disparate ed anche di una parte degli ex-attivisti politici che, in passato, si erano schierati dalla parte dell’ex primo ministro Thaksin Shinawatra. La contrapposizione tra le parti potrebbe facilmente degenerare in disordini violenti e provocare uno spargimento di sangue di cui non beneficerebbe nessuno degli schieramenti.

Sullo sfondo ci sono gli interessi delle grandi potenze mondiali, determinate a trarre il massimo vantaggio da eventuali mutamenti negli equilibri di potere in Asia sud-orientale. La Repubblica Popolare Cinese, che ha ottimi rapporti diplomatici con la vicina Cambogia, potrebbe essere interessata ad espandere i propri interessi nella regione. Una chiave per riuscire a farlo potrebbe essere la Nuova Via della Seta, una gigantesca iniziativa commerciale voluta dalle elite cinesi e che dovrebbe coinvolgere molte aree del mondo. La Thailandia ha tradizionalmente intessuto, in particolare modo nel corso della Guerra Fredda e della Guerra del Vietnam, stretti legami politici con gli Stati Uniti. Washington ha sfruttato le basi militari nel Paese per tentare di cementare la propria presa sull’Asia sud-orientale ma, negli ultimi anni, i due Paesi si sono allontanati a causa dell’involuzione democratica della Thailandia.

L’instabilità politica di Bangkok potrebbe riflettersi, negativamente, sul vicino Myanmar dove il governo centrale convive, non senza problemi, con le minoranze etniche che popolano le regioni di confine. Tanto Ming Aung Hlaing, a capo delle Forze Armate del Myanmar quanto Aung San Suu Kyi, Consigliere di Stato e ministro degli Esteri, intrattengono buoni rapporti con Bangkok e la sicurezza di cui gode il confine tra i due Paesi è legata al clima di fiducia generale. Il Myanmar è un pilastro strategico per la stabilità dell’Asia Meridionale ed anche l’India è decisamente interessata alle sue sorti. New Delhi vuole evitare, a tutti i costi, problemi lungo i propri confini orientali. L’evoluzione delle vicende thailandesi, dunque, potrebbe generare conseguenze impreviste in buona parte dell’Asia.

di Andrea Walton