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Storia di Maryam

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10 novembre 2020

«Ragazza» di Edna O’Brien


È una cosa che la riguarda. E perché vuole che sia una cosa che riguardi anche noi, scrive un romanzo. Scrive la storia di una ragazzina che voleva migliorarsi, e che si ritrova braccata dal passato e dal futuro, immobilizzata dal non poter andare più né avanti né indietro perché calpestata prima dai nemici, e poi dai suoi e dalla sua comunità. In un presente di dolore che per sopravvivere può solo farsi eterno.

«Prima ero ragazza, adesso non più». Inizia così l’ultimo romanzo di Edna O’Brien. Con il racconto di una ragazzina, Maryam (il suo nome compare solo un paio di volte in tutto il romanzo) che scappa nel buio della foresta con la figlia in braccio in una Nigeria anonima ma riconoscibilissima. Dalle prime pagine del libro sappiamo tutto, che la narratrice è stata rapita, violentata, ha partorito, e che lei e sua figlia stanno fuggendo, ignare del luogo e del tempo. Sappiamo tutto, ma in realtà sappiamo ben poco.

«Prima ero ragazza, adesso non più». Maryam, narratrice e protagonista di Ragazza (Torino, Einaudi, 2020, pagine 200, euro 17, traduzione di Giovanna Granato) rapita insieme a tante altre studentesse come lei dai miliziani che hanno fatto irruzione nel loro dormitorio. Prese come seconda scelta perché non sono loro quel che i miliziani volevano. A caccia di altro («Dov’è la scuola maschile, Dove tengono il cemento, Dove sono i magazzini»), non possono tornare a mani vuote dal comandante e così si accontentano delle ragazze. Non c’è nemmeno bisogno di arrivare in fondo alla prima pagina del romanzo che O’Brien ci ha già fornito il quadro di riferimento: le ragazze, per tutti — non solo per i terroristi di Boko Haram — sono merce. Da saccheggiare, trafugare, agguantare; e buttare, quando ormai non servono.

«Prima ero ragazza, adesso non più». Nel campo di addestramento dei miliziani Maryam e le altre ragazze conoscono solo l’orrore. Maryam registra ogni dettaglio del suo nuovo ambiente, ogni nuovo orrore man mano che è costretta a immergersene. Perché ciò che le viene subito sottratto è il lusso di poter distogliere lo sguardo. Il racconto del primo stupro di gruppo è il durissimo racconto di una violazione che è insieme fisica e identitaria («Dissi addio ai miei genitori e ai tutti quelli che conoscevo»); il primo di una serie di urla incompiute. Come può una ragazzina sull’orlo di diventare persona sopravvivere a questo baratro, si domanda e ci domanda Edna O’Brien.

Un baratro che vede la danza macabra di donne di ogni età e ruolo. C’è la lapidazione per adulterio della moglie del capo emiro. La descrizione è precisa e spietata: la scrupolosità dei preparativi; la donna, che prima felice della propria bellezza «e del prestigio di essere la favorita», ora immobile nell’obbrobrio che la circonda; l’eccitazione montante; il ritrarsi della vittima nell’impotenza più assoluta e le sue urla che si trasformano nelle grida vittoriose dei giustizieri; il volto a brandelli. E poi ci sono loro, le pietre che nella narrazione di O’Brien diventano anche esse complici: prendono vita per portare la morte, non delegittimando la mano dell’uomo, ma potenziandone all’infinito l’eco.

«Prima ero ragazza, adesso non più». Poi, all’improvviso, Maryam riesce a fuggire. Anche se non sa da quanto tempo e verso dove. Il ricordo della sua famiglia è un balsamo, ma reggerà all’urto del non essere più “pura”, lei con quel fagotto nato dalla violenza? La sensazione che le donne possano essere destinate alla punizione ovunque si trovino e in qualunque circostanza o contesto, diventa presto certezza quando Maryam e sua figlia si ricongiungono alla loro comunità. Una ricongiunzione impossibile. Subito Maryam capisce di essere una cosa diversa da quell’eroina festeggiata dal presidente del Paese in una festa di bentornata, manifestazione di tremenda ipocrisia. Non è un’eroina, Maryam, non è nemmeno una vittima: Maryam è una vergogna. Il trauma del suo rapimento ha distrutto la sua famiglia, Maryam deve essere contenuta, il suo essere minaccia va neutralizzato, la sua voce calmata. Sua figlia, cancellata.

Come attestano tanti rapporti internazionali, dopo i rapimenti le ragazze sopravvissute sono dei paria quando tornano ai loro villaggi. Come vittime di violenza sessuale, sono solo dei beni danneggiati. E, soprattutto, danneggianti.

«Prima ero ragazza, adesso non più». È la violenza del dopo, in un quotidiano che diventa degradazione assoluta, perché il male travalica Boko Haram; perché il fanatismo sconfina, non ha pietà nella sua furia che priva le vittime di ogni possibile angolo di rifugio. È meraviglioso questo romanzo che fonde insieme violenza e poesia, disorientamento e lirismo, che obbliga ad ascoltare la voce di una bambina oltre ogni limite. Una bambina vittima di strutture patriarcali pervasive e mortifere oltre le generazioni, oltre ogni possibilità di scelta.

«Prima ero ragazza, adesso non più». E poi c’è lei, la scrittrice, classe 1930, che nei ringraziamenti finali racconta la genesi del libro, il tempo necessario a scriverlo. I viaggi, gli studi, gli incontri. A 89 anni (Girl è uscito nel 2019) Edna O’Brien si dimostra ancora una volta meravigliosa acrobata pronta a nuove, audaci incursioni. Perché serve, oggi come ieri — e oggi forse come non mai — empatia. Quel che succede oggi a tante ragazze nel mondo è una cosa che la riguarda. E perché vuole che sia una cosa che riguardi anche noi, scrive un romanzo. Noi, almeno, leggiamolo.

di Giulia Galeotti