LA BUONA NOTIZIA • Il Vangelo della XXXIII domenica del tempo ordinario (Matteo 25, 14-30)

Il contrario della paura non è il coraggio ma l’amore

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10 novembre 2020

“Ho avuto paura” dice colui che aveva ricevuto un solo talento. Una paura che ci portiamo addosso tutti; è quella di Adamo dopo il peccato. Tante volte anche noi ci vergogniamo della nostra debolezza e ci nascondiamo a Dio, agli altri e perfino a noi stessi.

“Ho avuto paura” dice chi nasconde sé stesso nella buca, cioè nel sotterfugio, nella diffidenza, nel “si è sempre fatto così”, nell’accidia, nella conservazione piuttosto che nella condivisione, spesso nella menzogna. Che bello invece ascoltare Giovanni nella sua prima lettera: «Nell’amore non c’è timore. Chi teme non è perfetto nell’amore». In fondo il contrario della paura non è il coraggio, ma proprio l’amore.

Quando il nostro padrone, le nostre certezze, la nostra figura paterna si assenta, fa un viaggio, possiamo utilizzare ciò che abbiamo ricevuto, per fiorire, per schiudere il nostro vero essere. È la scelta dell’amore, della gratitudine, della gioia che ci porta a rischiare, a investire noi stessi e le nostre capacità. Non è il padrone che toglie, siamo noi che sotterriamo la nostra vera essenza. Siamo noi che ci gettiamo nelle tenebre, non è mai Dio che ci getta via. È che quando c’è silenzio, quando il padrone parte, anziché ascoltare, scappiamo dalle nostre paure. Se ci fermassimo e le attraversassimo, scopriremmo che non sono nulla, sono solo tenebre, basta accendere una candela o guardare una stella nella notte per vedere la luce dello Spirito.

La paura fra le altre cose è un freno per ogni azione pastorale; è molto facile rinchiudersi nella sagrestia, nel proprio gruppo, e stando asserragliati dentro come in un fortino, giudichiamo il mondo senza conoscerlo, a volte anche con disprezzo, dimenticando che annunciare il vangelo significa anche saper scorgere i segni dei tempi.

Gesù non si fa bloccare dalla paura ma si confronta e offre a noi un grande insegnamento; la volontà di Dio non si misura, non si comprende in base ad una strategia, e neanche mettendo al primo posto una presunta fedeltà che non sa rischiare il nuovo; la volontà di Dio si manifesta come puro dono di Grazia. A volte ci ammaliamo, di presunzione, di lievito dei farisei, pensiamo di avere noi le soluzioni migliori, viviamo un cristianesimo derivante dalla Legge e così quasi senza che ce ne accorgiamo organizziamo perfino le cose di Dio secondo i nostri schemi, dentro i nostri recinti che diventano una buca dove cadiamo dentro. Gesù testimonia un’altra salvezza che Lui è venuto a donare.

L’uomo di fede non ingabbia la propria vita in uno schema, non organizza le cose secondo il proprio codice, ma si lascia guidare da Gesù, e mette sé stesso a servizio della Chiesa e del mondo, rifuggendo ogni egoismo personale, curando invece gli interessi del Padre. Chiediamo allo Spirito che ci insegni ogni giorno le cose del Padre, per essere non solo collaboratori ma anche e soprattutto destinatari della gioia del Signore.

Perché la gioia è una vocazione, una chiamata; una dimensione spirituale, biblica e anche sociale dalla quale non si può prescindere. La gioia è la realtà del credente, del puro di cuore, dei bambini.

Se accettiamo questa chiamata, nessun ostacolo, nessuna difficoltà, nessun dolore, ci potrà mai impedire di prendere parte alla gioia del Signore, che ci ha amati per primo e per sempre.

di Francesco Pesce