UN PRETE PER CHIACCHIERARE
Quello «splendore del vero» che può essere incontrato tutti i giorni

Troppo bello per essere falso

Marco Cirnigliaro, «Simone» (2015)
09 novembre 2020

«È troppo bello per essere vero». Non so perché si dica così. In fondo bellezza e verità sono entrambi attributi della realtà che concorrono, insieme, a parlare di Dio e dell’esperienza che possiamo farne. La verità non può essere brutta e la bellezza non può essere falsa. O meglio, non è una vera bellezza quella che inganna e non è un’autentica verità quella che ci abbruttisce. Insomma, se è troppo bello, allora significa che siamo alla presenza del Vero. «È troppo bello, quindi deve essere per forza vero». Ho esclamato proprio così qualche mese fa, al termine di un campo estivo in montagna con alcuni adolescenti della mia parrocchia. Sarà stato il panorama mozzafiato, sarà stata l’amicizia sincera fra di noi, sarà stata la bella vita dei miei ragazzi, ma dopo essere sceso dal pullman di ritorno, vedendoli felici fino alle lacrime, sono stato travolto da un fiume di commozione e mi si sono finalmente aperti gli occhi sullo spettacolo dinnanzi a me: quella Bellezza non era altro che lo splendore del Vero. E quei ragazzi così vivi erano la gloria di Dio che si manifestava per me. Era troppo bello, quindi doveva per forza essere vero. Mi sono sentito come Pietro sul monte Tabor un istante dopo aver assistito alla trasfigurazione di Gesù: «Maestro, è bello per noi stare qui. Facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia». Anche io avrei voluto che quelle emozioni durassero per sempre, perché di fronte a me, su quel parcheggio, si dispiegava effettivamente il Paradiso. Per un istante il tempo si era squarciato ed era brillato l’eterno. Era l’uomo vivente, la verità della Gloria di Dio, la bellezza della Trasfigurazione. E io non volevo andarmene. «È bello per noi stare qui». Poi improvvisamente dal mucchio di ragazzi la voce di uno di loro mi chiama. Devo aprire l’oratorio. Bisogna scaricare i bagagli. I genitori vogliono salutarmi. Le contingenze del presente mi assalgono e mi ributtano coi piedi per terra. Per un attimo rimango confuso e spaesato, i battiti del cuore a mille e lo sguardo ancora pieno di Dio. È tempo di scendere dal monte Tabor e tornare a solcare le strade della quotidianità. Si torna alla vita di prima, anche se nulla sarà più come prima. Quella Bellezza si è veramente impressa dentro di me, mi ha segnato l’anima e mi ha cambiato gli occhi. È come quando si guarda troppo a lungo il sole: si brucia una parte della retina e si forma una macchia, per cui in seguito su tutto ciò che si guarda si forma un punto nero. Dopo aver contemplato quella Bellezza nella gioia dei miei ragazzi, ora posso vederla in tutto ciò che ho di fronte, perché ormai mi riempie lo sguardo. È troppo bello? Sì, ma proprio per questo è tremendamente vero.

di Alberto Ravagnani