Il cardinale Hollerich su «Tutti fratelli»

Questo è il Vangelo

Il cardinale Jean-Claude Hollerich, presidente della Comece
09 novembre 2020

Il cardinale Hollerich su «Fratelli tutti»


«Lei mi conosce, direttore, e sa quanto rifugga dalla retorica. Ma se devo indicare un aggettivo che indichi il mio stato d’animo nella lettura di Fratelli tutti, l’unica parola che mi sovviene è “entusiasta”». Esordisce così il cardinale Jean-Claude Hollerich, arcivescovo di Lussemburgo e Presidente della Commissione delle Conferenze Episcopali della Comunità europea, in una conversazione sulla nuova enciclica pontificia che ci concede a margine dei suoi tanti impegni. «Avrei preferito aderire al suo invito e scrivere un commento organico al bellissimo testo di Papa Francesco, ma la situazione della pandemia è qui in Lussemburgo, come nel resto d’Europa, molto grave e gli impegni pastorali si moltiplicano: se le pecore non si radunano, è il pastore in questo momento che deve cercare il gregge».

«Sono entusiasta — ci dice iniziando — perché in questa lettera si assapora il gusto del Vangelo. Non c’è nulla di più e nulla di meno che il Vangelo. Non c’è nient’altro che quello che Cristo ci dice nel Vangelo. Tutti fratelli significa innanzitutto che la nostra è una religione comunitaria: noi non siamo mai soli davanti a Dio. Gesù ci ha insegnato a pregare il Padre Nostro alla prima persona plurale. Ma, soprattutto qui in Europa, è ormai invalsa l’abitudine a pregare il “Padre mio”, a indulgere a una pietà molto personale, a considerare Dio il mio Dio. Questo non è semplicemente sbagliato, non è Cristiano. Gesù è molto esplicito in tale senso: io sono con voi quando “due o tre” si riuniscono nel mio nome. L’essenzialità della stessa Incarnazione è nella comunanza fraterna, Dio si fa uomo e fratello per condividersi. Da questo punto di vista io trovo nella lettera dei toni profetici, rispetto al montante individualismo della post-modernità. E anche rispetto al rinnovamento della Chiesa, che è in larga parte il superamento di una tendenza all’individualismo che purtroppo insiste anche all’interno di essa.

Papa Francesco ci invita a una nuova globalizzazione: quella dell’amore e della fraternità. Sono rimasto molto toccato dal riferimento al Buon Samaritano, e dalla attualizzazione necessaria della parabola: io oggi sono, devo essere, il prossimo dei rifugiati di Lesbo, Cristiani o Musulmani che siano, sono il prossimo dei milioni di sofferenti per la pandemia ovunque nel mondo. Nell’ottica della fraternità si aprono dinanzi a noi nuovi terreni, nuove possibilità al nostro essere Cristiani. E al contrario si chiudono alcune opzioni intrinsecamente contrarie all’essere Cristiano, innanzitutto le ideologie populiste e nazionaliste. Ogni sistema “chiuso” pone dinanzi a rischi. E questo vale anche per la teologia e per la Chiesa: rifuggire sempre dal rischio delle chiusure identitarie. Apertura e cambiamento sono il paradigma del Cristianesimo; fin dal tempo degli apostoli. È la presenza stessa di Cristo nella Chiesa che permette la propensione all’apertura. L’ho già detto, in questa lettera c’è il Vangelo, e il Vangelo viene sempre prima. In questo senso posso dire che nell’enciclica c’è tutta la preesistente dottrina della Chiesa, ma con il linguaggio di Francesco. Che è un linguaggio che la sa rendere fragrante, che sa parlare al cuore».

Soprattutto nei primi due capitoli ci sono diversi riferimenti all’Europa, che impressione le hanno fatto Eminenza?

Ho trovato molto bello che ne parli. Gli europei sono gente che ha conosciuto e sperimentato il concetto di fratellanza. Lo stesso concetto che laicamente espresso era alla base del progetto europeo, così come lo intendevano i padri fondatori. L’Europa unita è un progetto di fratellanza. Il Papa dice che se non ci fosse, andrebbe inventato. È un modello per il mondo. In nessun’altra parte del mondo s’è dato che nazioni rinunciassero a porzioni di sovranità per cederla a un progetto comune. Ma questo progetto oggi è in grave difficoltà. Alla cessione di sovranità si oppone il sovranismo. Cioè alla fratellanza si oppone l’egoismo. Guardi alla vicenda dei profughi: non si riesce a trovare un compromesso, e se lo si trova è sicuramente al ribasso per i rifugiati che pagano il prezzo delle indecisioni ed egoismi europei. No, questa non è la nostra storia. Non è la storia migliore dell’Europa. Di quell’Europa unita che vorremmo. E questo vale anche per le religioni che si presentano sul teatro europeo: vincere le tentazioni di chiusura, e con esse le generalizzazioni, isolare i separatismi e le violenze. Riconoscere sempre che l’Altro è ricchezza. Vedere sempre il buono che pur sempre c’è nell’Altro. Parlare di ciò che ci unisce, non di ciò che ci divide.

Abbiamo il dovere di fare appello alla coscienza di tutti. Non è (solo) un problema di politiche. Ma soprattutto di coscienze. L’Unione necessita di valori, ma non vedo una gran circolazione di ideali in questo tempo. L’Unione sopravvive di compromessi, non vive di ideali. Dobbiamo tornare all’ideale originale di una Casa comune. Quella sognata e costruita dai padri fondatori. Che necessita senz’altro di un’attualizzazione (per esempio anche in relazione alla coesistenza di diversi credi religiosi), ma che nei suoi fondamentali è pur sempre valida.

Vorrei aggiungere un’ultima cosa. Io vedo Fratelli tutti come il seguito e la conseguenza di Laudato si’. Si vive da fratelli in una casa comune. Solo se si è fratelli si protegge la casa comune. Essere fratelli significa allora concorrere alla tutela del creato coi fratelli dell’Amazzonia e con quelli delle generazioni a venire. C’è un nesso consequenziale tra le due encicliche che andrà ulteriormente approfondito. Non ho dubbi che entrambi i documenti siano le basi su cui costruire un nuovo umanesimo per tutti gli uomini di buona volontà.

di Andrea Monda