«Il silenzio della fine» di Pietro Leveratto

Sangue e musica nell’America degli anni Trenta

Particolare dalla copertina del libro edito da Sellerio
07 novembre 2020

Cara Giulia, non conoscevo Pietro Leveratto, infatti è uno scrittore esordiente ma sono stata attratta dalla copertina del suo Il silenzio della fine (Palermo, Sellerio, 2020, pagine 320, euro 15). C’è un uomo di spalle, in piedi, di fronte a un pianoforte. Camicia bianca, un po’ sgualcita di chi pativa una giacca forse troppo stretta, bretelle scure, un bicchiere in mano, probabilmente di whisky, come la bottiglia semivuota poggiata accanto a un borsalino. Sembra di intuirne i pensieri. Dev’essere successo qualcosa di grave o forse sta per succedere. Che sia un giallo? L’autore del quadro è un inglese, un iper realista. Ho controllato l’età ed è abbastanza giovane, più o meno come Leveratto che invece fa il musicista. Non sbagliavo allora: quella copertina non è un caso.

Cara Flaminia, sì, la musica è il filo rosso che lega i molti avvenimenti narrati. Non a caso tra i tanti personaggi troviamo due grandi direttori d’orchestra, Weissberg, un austriaco, e Bergallo, un italiano che essendo antifascista si è auto-esiliato negli Stati Uniti. Siamo a New York nel 1931, in un’America da poco uscita dalla grande depressione e che sta riscoprendo un crescente benessere, una ripresa della vita culturale e, quindi, anche il tempio sacro della musica, il Metropolitan.

Flaminia: La New York di quegli anni è appena uscita dalla grande depressione del 1929 e scopre una vita che nemmeno immaginava esistesse, fatta di cinema, swing e notti brave. Leveratto descrive quel mondo, soffermandosi soprattutto sulla vita degli emigrati italiani pieni di entusiasmo ma anche di malinconia e nostalgia dei Paesi d’origine sempre più miniature sbiadite al confronto della patria d’adozione. Il romanzo prende un altro ritmo quando un oscuro fatto di sangue sconvolge le esistenze dei protagonisti. Intorno a quel crimine però ruota un microcosmo di uomini, donne, ambienti e ceti sociali molto variegato che interessa l’autore molto più della vicenda in se stessa.

Giulia: Incontriamo fin dall’inizio Tiralongo, una camicia nera, un devoto e ottuso servitore della causa fascista, uno che ha trovato lo scopo nella sua vita fin dalla marcia su Roma. Ha una vera e propria venerazione per il Duce e non conosce altro verbo che il fascismo. Un po’ noioso, un po’ invadente, nel suo zelo eccessivo viene mandato dai dirigenti del Pnf a New York soprattutto per toglierselo dai piedi. Finisce, tra l’orgoglioso e lo spaesato, a East Harlem, dove contatta una cellula del partito, una delle leghe fasciste che s’erano costituite in Nord America fin dal 1925. Un sempliciotto, ma giacché viene dall’Italia in tanti pensano forse rivesta un qualche ruolo significativo per il regime.

Flaminia: L’autore tratteggia le atmosfere e le suggestioni di una città e di un’epoca entrata attraverso la cinematografia nella memoria collettiva. Sembra di vederla, New York, con le sue strade e i suoi quartieri multietnici in cui si mescolano immigrati europei, mafiosi, donnine allegre, bettole, delinquenti da quattro soldi in un’America risorta come un’araba fenice.

Giulia: Compare, ogni tanto, uno sguardo sull’Italia attraverso la presenza di Mussolini che entra nel romanzo ma è un’ombra fugace, lo vediamo solo e sempre insidiato al tavolo da lavoro in Palazzo Venezia, efficiente, sbrigativo, nel pieno del suo potere. Siamo nel 1930, l’Italia di Mussolini è la nazione di Cesare Balbo, della transvolata atlantica, delle parate, del modello di regime che Hitler ammira e persegue. Mussolini non sa neppure chi sia Tiralongo, suo zelante adoratore.

Flaminia: L’Italia è ormai lontana ma elemento necessario per far muovere i personaggi e creare il climax del romanzo giallo. Sembrano figurine animate sullo sfondo colorato di un diorama. L’omicidio sposta l’attenzione su circostanze che si mescolano a fatti di cronaca vera e che spingono la narrazione verso il giallo storico. Cosa è davvero accaduto a Bergallo lo scopriremo leggendo, ma le note della sua musica faranno da colonna sonora al susseguirsi delle pagine limpide e scorrevoli del romanzo.

di Giulia Alberico
e Flaminia Marinaro