PUNTI DI RESISTENZA • Scuola in piazza per immigrati a Reggio Calabria

Apprendere la lingua per integrarsi

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07 novembre 2020

Libri, matite, penne e quaderni. Devono portar via i loro zaini, con dentro tutto il necessario per imparare, i giovani e gli adulti stranieri che fino alla fine — fino, cioè, a poco prima che la Calabria fosse dichiarata «zona rossa» col Dpcm dello scorso 3 novembre — hanno partecipato alla Scuola italiana in piazza. L’interruzione dell’iniziativa spontanea — avviata a Reggio Calabria il 17 agosto scorso grazie all’idea Giorgio Furfaro, docente e dottorando alla locale Università per stranieri «Dante Alighieri» — si deve, com’è ovvio, all’emergenza sanitaria e alle decisioni volte al contrasto della diffusione del virus. Così, a venire meno, almeno per il momento, è un’importante opportunità didattica che, in piazza Sant’Agostino e, dunque, all’aria aperta, ogni lunedì, mercoledì e venerdì pomeriggio per un’ora e mezza, riuniva in piena sicurezza chi — proveniente da Kurdistan, Siria, Marocco, Nigeria, India e da tanti altri altrove — stava (o avrebbe voluto iniziare a farlo) apprendendo la lingua italiana. Viene meno, pure, un punto di incontro tra quelle culture che, dalla solitudine provocata dal coronavirus, continuano ad essere toccate. La piazza, adesso, è vuota.

Ma andiamo indietro nel tempo, ritorniamo a quest’estate, a quando Giorgio Furfaro, coadiuvato dall’insegnante di Lettere nonché bibliotecaria Ida Triglia e dall’aspirante docente Luca Pizzimenti, decide di dar vita a questa scuola en plein air, gratuita, aperta a tutti e rivolta alle persone d’origine straniera e di ogni età per combattere il doppio isolamento e abbattere le barriere linguistiche e culturali.

«Tutto è nato perché, dopo l’esperienza della Didattica a distanza (Dad) nel corso del lockdown primaverile — spiega Furfaro — ci siamo resi conto di come una certa incomunicabilità avesse colpito gli studenti stranieri: se è vero che gli istituti scolastici hanno cercato di contattarli e fornirgli i dispositivi elettronici per seguire le lezioni, è altrettanto vero che i ragazzi delle medie e delle superiori sono risultati dispersi; non conoscendo bene l’italiano, non hanno avuto facile accesso ai corsi di Dad erogati dalle scuole». Pertanto, autorizzati dal comune («l’impegno è continuare i progetti di alfabetizzazione già attivi nelle scuole ed estenderli a un bacino di studenti sempre più grande, perché la conoscenza dell’italiano è la chiave dell’inclusione», precisano i promotori), tre mesi fa, Furfaro, Triglia, Pizzimenti e gli ulteriori volontari — una decina di docenti di materie umanistiche — riprendono la didattica in presenza e forniscono «un servizio non solo ai giovani, ma anche agli adulti che, da marzo a giugno, avrebbero voluto frequentare (o lo stavano facendo) dei corsi di italiano poi venuti meno».

«In queste settimane — prosegue Furfaro — il nostro è stato un approccio intergenerazionale: 40 studenti dai 3 ai 61 anni, tra ragazzi che da settembre hanno ripreso a frequentare la scuola o che hanno continuato a mostrare problemi con la Dad e intere famiglie, sono stati divisi in quattro gruppi a seconda del livello di conoscenza della lingua. Tutti insieme hanno trasformato la piazza in un’aula ricolma di colori e parole». Lo conferma Triglia, che racconta: «A lezione s’è creata un’atmosfera libera e accogliente, che ha trovato riscontro positivo anche nella comunità reggina. Abbiamo, infatti, dato vita a una raccolta fondi sul web, ancora in corso, attraverso i cui contributi sono stati acquistati lavagne magnetiche e materiale didattico; e poi pure la parrocchia ci ha dato una mano, prestandoci le sedie per i nostri studenti, per non parlare, inoltre, delle associazioni del luogo. Grazie a Nati per leggere, progetto nazionale di promozione della lettura in famiglia sin dall’età prescolare, all’inizio delle lezioni abbiamo sfogliato tanti albi illustrati e tra le idee che avremmo presto sviluppato in piazza c’era pure quella di leggere volumi in lingua straniera per non far dimenticare le proprie radici. Con altri volontari, infine, abbiamo promosso giochi di socializzazione per i più piccoli, permettendo ai genitori di seguire le lezioni in tranquillità, e organizzato visite alla vicina pinacoteca e pomeriggi di teatro a cui hanno anche partecipato cittadini italiani, favorendo cooperazione e scambio».

E ora? «Ora ci reinventeremo — chiosa Triglia —, di certo non ci fermiamo: per il momento a distanza, negli stessi giorni e sempre dalle 17 alle 18.30, organizzeremo lezioni sincrone, fornendo i dispositivi tramite la nostra raccolta fondi o il comodato d’uso, e non lasciando indietro nessuno. Per contrastare i citati problemi del primo lockdown non solo continueremo le lezioni di lingua italiana, ma ne realizzeremo pure alcune sull’uso degli strumenti elettronici». Non cambiano, comunque, alcuni aspetti legati alla Scuola italiana in piazza: tra questi c’è l’appello degli organizzatori affinché «altri docenti volontari si facciano avanti» e l’idea di «proporre all’amministrazione la costituzione di un ufficio senza portafoglio, dedicato all’istruzione delle persone straniere, di cui siamo disposti a occuparci senza spese per il comune». Più vivo che mai è anche l’auspicio di tornare quanto prima «in piazza per proseguire le lezioni in presenza, condividendo spazi e progettualità, non dimenticando l’importanza delle relazioni umane». Con la Scuola italiana in piazza, «la lingua — concludono Furfaro e Triglia — è il primo strumento per fare conoscenza dell’altro, prendendo consapevolezza dei propri diritti e dei propri doveri».

di Enrica Riera