Una rete per i rimpatri

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05 novembre 2020

Una rete transnazionale, chiamata Families for Repatriation International (Fri), ha avviato una campagna di pressioni sui governi di alcuni Paesi occidentali affinché si impegnino per il rimpatrio dei loro cittadini, in particolare i bambini e i ragazzi minorenni, rinchiusi nei campi del nordest della Siria.

Il network, fondato dai parenti delle persone confinate nelle strutture siriane, ha iniziato la sua campagna nel corso dell'ultima settimana, insistendo sulle precarie condizioni igienico-sanitarie in cui versano i campi e su come queste siano lesive dei diritti umani, della sicurezza globale e dello stato di diritto. I membri della rete provengono da 5 Paesi (Canada, Belgio, Germania, Australia e Regno Unito), ma puntano ad allargarne le connessioni.

A stimolare l'iniziativa è stata la recente campagna da parte di oltre 150 accademici provenienti da Europa e Stati Uniti, i quali hanno criticato i Paesi europei per la passività mostrata verso la questione dei rimpatri.

Al centro delle richieste degli attivisti sono i due campi siriani di al-Hol e al-Roj, nei territori controllati dalle forze curde in seguito alla loro vittoria militare sul sedicente stato islamico (Is). Le due strutture ospitano al momento oltre 3.000 donne e 7.000 bambini di nazionalità non siriana, mentre circa 2.000 uomini sospettati di avere collaborato con l’Is sono detenuti in carceri vicine.

Le condizioni in cui vivono gli ospiti dei campi sono già state al centro di un acceso dibattito durante gli ultimi mesi: a luglio, infatti, il Sottosegretario dell'Ufficio antiterrorismo delle Nazioni Unite Vladimir Voronkov aveva indetto una conferenza per descrivere le problematiche dovute al sovraffollamento e alla mancanza di cibo e di cure mediche, indicandole come cause di un elevato tasso di mortalità infantile. Voronkov aveva anche espresso la sua preoccupazione per una possibile permeabilità dei detenuti alla radicalizzazione, a causa della difficile situazione nella quale sono costretti.

Questa preoccupazione è largamente condivisa da gran parte dei governi occidentali, che in alcuni casi hanno privato della cittadinanza individui legati all’Is.

Le autorità curde, che all'inizio del mese hanno annunciato il rilascio di circa 25.000 civili siriani dal campo di al-Hol per far fronte al sovraffollamento, si sono espresse in modi contrastanti rispetto al tema del rimpatrio degli ospiti stranieri, definendolo necessario per alcuni individui ma aggiungendo che quelli con comprovati collegamenti con l'Is devono essere processati in loco. Finora, i rimpatri dai campi siriani sono avvenuti solo per urgenze umanitarie e per individui di giovanissima età. Il caso più recente in Europa si è verificato in Albania, dove il primo ministro Edi Rama ha annunciato lo scorso 26 ottobre il rimpatrio di quattro bambini e della madre di uno di questi dalla struttura di al-Hol, al termine di un lungo negoziato segreto con le autorità curdo-siriane mediato dalla Mezzaluna Rossa siriana.

di Giovanni Benedetti