Le sfide dell’enciclica «Fratelli tutti»

Tra l’urgenza e il desiderio

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05 novembre 2020

Un racconto biblico cruciale per la costruzione di una teologia della fraternità è quello che ci viene narrato nel capitolo 37 del libro della Genesi. Giacobbe manda suo figlio Giuseppe nei campi per sapere come stanno i fratelli, occupati a pascolare il gregge. E un elemento interessante, tra tanti altri di questo famoso passo, è che Giuseppe non trova subito i fratelli. In effetti, la fraternità non è un mero automatismo del sangue o della geografia della famiglia in cui si nasce. Dalla storia di Caino e Abele (Gn 4, 1-16), la Bibbia ci fa sapere che la fraternità è, prima di tutto, una scelta etica nella quale dobbiamo impegnarci, una decisione esistenziale e spirituale che, in modo molto concreto, o accettiamo o rifiutiamo. Mentre Giuseppe erra per i campi, un uomo lo vede e gli chiede: «Che cerchi?». Lui dà una risposta che, in fondo, serve anche a spiegare le nostre ricerche e quelle del mondo attuale. Giuseppe risponde: «Cerco i miei fratelli» (Gn 37, 16). Ebbene, è proprio di questa ricerca che parla l’enciclica.

L’urgenza della fraternità

In primo luogo, Fratelli tutti è un testo contrassegnato dall’urgenza. L’urgenza può essere colta, per esempio, già nel primo capitolo, intitolato «Le ombre di un mondo chiuso». Papa Francesco ci aiuta a guardare a nostra volta al mondo, proponendo una diagnosi essenziale del momento storico che stiamo vivendo. E non è un momento facile. Mi viene in mente il titolo di un’opera teatrale dello scrittore Peter Handke, Premio Nobel per la Letteratura 2019: L’ora in cui non sapevamo niente l'uno dell'altro. Contro questo stato delle cose, il Papa leva la sua voce in modo profetico: «La storia sta dando segni di un ritorno all’indietro» (n. 11). Di fatto, non solo assistiamo al riaccendersi di una conflittualità che pensavamo superata sia sul piano internazionale sia all’interno delle comunità nazionali, ma vediamo anche diffondersi «una perdita del senso della storia» (n. 13) che apre nuovamente la via a logiche di disgregazione, scarto e dominio. Il primo a essere ignorato è il bene comune, visto che nell’esperienza della globalizzazione attuale ciò che si constata è il trionfo delle ambizioni dei più forti e la crescente precarietà delle regioni e dei gruppi umani vulnerabili. Come ci viene ricordato, «la società sempre più globalizzata ci rende vicini, ma non ci rende fratelli» (n. 12). Al contrario, «siamo più soli che mai in questo mondo massificato che privilegia gli interessi individuali e indebolisce la dimensione comunitaria dell’esistenza» (Ibidem). Basti vedere come i diritti umani non sono ancora sufficientemente universali; come continuiamo ad abitare la casa comune da consumisti sfrenati, invece di impegnarci a gestire equilibri nell’ecosistema; come non ci preoccupiamo abbastanza di definire eticamente il progresso tecnologico, facendone uno strumento al servizio della persona umana invece che un’ulteriore forma di manipolazione e di asimmetria sociale; o come, dinanzi al flagello della pandemia che sta colpendo il mondo, ci rifiutiamo di riconoscere che siamo tutti sulla stessa barca e che nessuno si salva da solo. Qual è il risultato di questa cecità? Papa Francesco lo dice chiaramente: «Nel mondo attuale i sentimenti di appartenenza a una medesima umanità si indeboliscono, mentre il sogno di costruire insieme la giustizia e la pace sembra un’utopia di altri tempi» (n. 30). In sintesi: manca un progetto comunitario capace di unirci tutti.

La fraternità: un progetto per tutti

Ciò che Papa Francesco propone è che questo progetto possa essere la fraternità e l’amicizia sociale. E lo fa in modo molto esplicito: «Consegno questa Enciclica sociale come un umile apporto alla riflessione affinché, di fronte a diversi modi attuali di eliminare o ignorare gli altri, siamo in grado di reagire con un nuovo sogno di fraternità e di amicizia sociale che non si limiti alle parole» (n. 6). Di fatto, della triade libertà, uguaglianza e fraternità, che rappresenta l’ideale della modernità, le nostre società hanno incluso le prime due, ma hanno lasciato fuori la fraternità, come se fosse una questione strettamente privata, sulla quale non è possibile costruire un consenso sociale. Eppure, come afferma Papa Francesco, senza la fraternità, la libertà e l’uguaglianza corrono il rischio di diventare tragicamente inconcludenti e astratte, fatto che possiamo facilmente appurare. Il riconoscimento della fraternità è, pertanto, uno dei compiti attuali più pressanti, che deve coinvolgere tutti gli attori, dalla politica all’economia, dalla cultura alle religioni.

Commentando la parabola evangelica del Buon Samaritano, il Papa dice: «Ogni giorno ci viene offerta una nuova opportunità, una nuova tappa. Non dobbiamo aspettare tutto da coloro che ci governano, sarebbe infantile. Godiamo di uno spazio di corresponsabilità capace di avviare e generare nuovi processi e trasformazioni. Dobbiamo essere parte attiva nella riabilitazione e nel sostegno delle società ferite» (n. 77). Le parole chiave sono cominciare e ricominciare. La fraternità è posta nelle nostre mani come una sfida inderogabile.

di José Tolentino de Mendonça
Cardinale archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa