Il mese di novembre nella Chiesa (e non solo) riaccende i riflettori sul prodotto dei frutti dell’olivo

Olio che risana

Marko Ivan Rupnik «Unzione di Betania» (2006)
04 novembre 2020

Nei Paesi dell’area mediterranea novembre è contraddistinto dal fatto di essere il mese della raccolta delle olive e quindi il mese dedicato all’olio. Per la Chiesa l’olio riveste un importante significato. Esso in primis rievoca il nome Christòs, traduzione greca del termine ebraico Mašiakh, in italiano Messia, che significa «unto». Il sostantivo olio deriva dal latino ŏlĕu(m) e dal greco ἔλαιον élaion. Esso richiama poi uno dei due sacramenti di guarigione, l’unzione degli infermi, sorgente di forza, soprattutto in un autunno come l’attuale, caratterizzato dalla crescita esponenziale dei contagi da coronavirus. Ecco perché «parlare di “unzione degli infermi” ci aiuta ad allargare lo sguardo all’esperienza della malattia e della sofferenza, nell’orizzonte della misericordia di Dio». E «non bisogna pensare che questo sia un tabù, perché è sempre bello sapere che nel momento del dolore e della malattia noi non siamo soli: il sacerdote e coloro che sono presenti durante l’unzione degli infermi rappresentano infatti tutta la comunità cristiana che, come un unico corpo si stringe attorno a chi soffre e ai familiari, alimentando in essi la fede e la speranza, e sostenendoli con la preghiera e il calore fraterno» (Papa Francesco, udienza generale del 26 febbraio 2014).

E volendo fare un’analogia, oggi il mondo sta vivendo la condizione di Noè chiuso nell’arca, angustiato dai dubbi sul futuro. Molto spesso la malattia provoca una ricerca di Dio, un ritorno a lui. Tant’è che a un certo punto il patriarca «fece uscire la colomba dall’arca e la colomba tornò a lui sul far della sera; ecco, essa aveva nel becco una tenera foglia di ulivo. Noè comprese che le acque si erano ritirate dalla terra» (Genesi, 8, 10-11).

Al di là delle facili polemiche di studiosi, teologi e giornalisti convinti di essere dei Mike Pomeroy, in questo periodo di restrizioni non pochi fedeli si sono riavvicinati alla preghiera e hanno riscoperto i sacramenti. Ogni sacramento della Chiesa è un pozzo alimentato dalla grande sorgente: il mistero pasquale di Cristo. «Il sacramento dell’unzione degli infermi, spesso trascurato o celebrato in un’atmosfera dimessa, quasi sorvolando gli elementi più espressivi del rito, quelli che più esplicitamente si riferiscono al passaggio dalla vita temporale a quella eterna», «la Parola, i segni, i gesti che costituiscono la liturgia di questo sacramento sono carichi di afflato umano, oltre che di contenuto di fede e di bellezza soprannaturale. Da essi si sprigiona una luce serena che rischiara l’orizzonte del futuro e solleva l’animo oppresso dalla sofferenza e dall’angoscia» (Anna Maria Cànopi, contributo in La lampada e l’olio, Elledici, 1992, pagine 77-86).

La malattia e la sofferenza sono sempre state tra i problemi più gravi che mettono alla prova la vita umana. «La rilevanza e la dignità, che la malattia ha nel disegno di Dio, sono poste in luce dall’esistenza, tra i sette sacramenti, dell’olio degli infermi. Sia effettivamente riscoperto dalla comunità cristiana e ritorni a dispiegare sui malati tutta la sua azione benefica» (Giacomo Biffi, Liber pastoralis Bononiensis, Edb, 2002, pagine 103-104). Nella malattia l’uomo fa l’esperienza della propria impotenza (Catechismo della Chiesa cattolica, n. 1500) e molto spesso avendo rinunciato all’esperienza di fede si comporta come un “sovrano decaduto” per dirla con Blaise Pascal. Indubbiamente la perseveranza nella preghiera nel tempo contribuirà a combattere l’emergenza sanitaria, perché chi persevera nella preghiera aiuta se stesso e gli altri; «chi non prega non può reggersi in piedi», come affermava infatti il beato Antonio Rosmini.

«Se l’eucaristia mostra come le sofferenze e la morte di Cristo siano state trasformate in amore, l’unzione degli infermi, da parte sua, associa il sofferente all’offerta che Cristo ha fatto di sé per la salvezza di tutti, così che anch’egli possa, nel mistero della comunione dei santi, partecipare alla redenzione del mondo» (Benedetto xvi, esortazione apostolica post-sinodale Sacramentum caritatis, 22 febbraio 2007).

L’unzione con l’olio degli infermi significa l’unzione della grazia dello Spirito Santo che risana e conforta il malato: «L’olio è sostanza terapeutica, aromatica e conviviale: medica le ferite, profuma le membra, allieta la mensa. Questa natura dell’olio è assunta nel simbolismo biblico-liturgico ed è caricata di un particolare valore per esprimere l’unzione dello Spirito che risana, illumina, conforta, consacra e permea di doni e di carismi tutto il corpo della Chiesa» (Benedizione degli oli e Dedicazione della chiesa e dell’altare. Premessa generale della Conferenza episcopale italiana).

Ognuno dei sette sacramenti istituiti da Gesù Cristo trovano forza esplicativa nei vangeli. Quello dell’unzione degli infermi evidenzia nella Lettera di san Giacomo la dimensione e l’attestazione del gesto sacramentale presente già nella prima comunità cristiana: «Chi tra voi è nel dolore, preghi; chi è nella gioia, canti inni di lode. Chi è malato, chiami presso di sé i presbiteri della Chiesa ed essi preghino su di lui, ungendolo con olio nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo solleverà e, se ha commesso peccati, gli saranno perdonati» (Giacomo, 5, 13-15). Come ribadisce il concilio di Trento: «Non sono quindi da ascoltarsi in nessun modo quelli che, contro un pensiero così aperto e chiaro dell’apostolo Giacomo, insegnano che questa unzione è un’invenzione umana o un rito ricevuto dai padri, senza che abbia né il comando di Dio, né la promessa della grazia» (Concilio di Trento, sessione xiv, 25 novembre 1551).

L’olio degli infermi viene appositamente benedetto, come gli altri santi oli, nella messa crismale del Giovedì santo. Di questa tematica nel corso dei secoli si sono occupati a più riprese i concili ecumenici Lungdunense ii, Fiorentino e Tridentino. Infine, Papa Paolo vi stabilì (Costituzione apostolica Sacram unctionem infirmorum, 30 novembre 1972) che l’olio non fosse necessariamente d’oliva e che le unzioni fossero soltanto due, sulle mani e sulla fronte.

Nella religione l’olio ha sempre rappresentato il simbolo della grazia di Dio. Persino gli eroi omerici traevano forza dall’uso dell’olio che garantiva giovinezza: «Dopo che m’ebbe lavato e unto con olio abbondante» (Odissea, x, 364), «Quando l’ebber lavato le schiave, l’ebbero unto con l’olio» (Iliade, xxiv, 587).

Democrito attribuiva la sua longevità al miele per uso interno e all’olio per quello esterno. Tito Livio narra che, quando Annibale venne a conoscenza della proprietà dell’olio di fornire calore, fece ungere il corpo dei suoi soldati per riscaldarlo e rinvigorirlo, e così ottenne la vittoria. In cauda, «l’unico vero viaggio verso la scoperta non consiste nella ricerca di nuovi paesaggi, ma nell’avere nuovi occhi» (Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto).

di Roberto Cutaia