Lo sguardo di Cristo sul mondo

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04 novembre 2020

Il testo dell’enciclica di Papa Francesco Fratelli tutti. Sulla fraternità e l’amicizia sociale è stato pubblicato dall’editrice Morcelliana (Brescia, 2020, pagine 256, euro 12), corredato da una serie di commenti. Di quello scritto da Arnoldo Mosca Mondadori riportiamo in questa pagina stralci della parte iniziale e di quella conclusiva.

Lo sguardo di Cristo, che fino all’ultimo istante di vita costruiva. «Padre mio, perdona loro perché non sanno quello che fanno», disse mentre lo inchiodavano alla croce. E lo disse a favore di coloro che stavano commettendo quel delitto ai suoi danni. Quindi senza escludere nessuno.

Lo sguardo che non aveva mai smesso di sognare il sogno del Padre... e sulla croce continuava a sognare.

Nessuno poté separare Cristo dal sogno: guardava i suoi assassini perdonandoli; si voltò verso il ladrone crocifisso come lui promettendogli il Paradiso; affidò Maria a Giovanni; chiese da bere, non solo perché avesse sete, ma per dare l’ultima opportunità a un uomo, a più uomini, di compiere un atto di pietà nei confronti di un essere umano più debole e da tutti disprezzato: un’opera di carità perfetta che, aveva insegnato, li avrebbe salvati.

Il suo sguardo, velato dal sangue e dal sudore, irrigidito da fitte di dolore, continuava a sognare il sogno che era il pensiero stesso di Dio: un mondo di fratelli perché consapevoli di essere tutti figli dell’Altissimo.

Lo sguardo di Cristo dalla croce è lo sguardo di cui Papa Francesco è trasparenza.

Solo cercando quel viso, solo facendosi trasparente ad esso, Francesco ha potuto scrivere questa lettera sulla fratellanza. Perché nessuno poté comprendere la fratellanza come Cristo sulla croce. Il suo corpo stesso era il luogo dove Lui raccoglieva con amore folle ogni essere vivente, anche il più ostile. In Lui si ricapitolava sul Calvario tutta la creazione, per essere ricreata, riplasmata. Dal patibolo, il Padre poteva, grazie a Lui, compiere il gesto della sua follia d’amore: prendere nel suo grembo ogni figlio, ogni elemento della creazione, senza esclusione, e partorirlo di nuovo.

Il Cristo in croce era il grembo di Dio che dava di nuovo alla luce. Tutto ciò che prima era perduto, ora era dentro di Lui. Mistero della sua carne d’amore che accoglieva, e accoglie ancora, ogni umano inferno.

È solo partendo dalla croce che posso comprendere le intenzioni e le parole della nuova enciclica del Papa. Francesco parla del sogno di Gesù con Gesù. Non è solo, mentre scrive: ogni parola è generata dalla contemplazione della croce, dal cercare di leggere gli occhi di Gesù che si dona.

Così nella parola di questa lettera entra la carne sublime del sogno: l’unica misteriosa materia che può dare alla parola il tempo infinito. Così nasce la profezia, per tutti, perché come scrive il Papa nell’enciclica: «Sogniamo come un’unica umanità, come viandanti fatti della stessa carne umana, come figli di questa stessa terra che ospita tutti noi, ciascuno con la ricchezza della sua fede o delle sue convinzioni, ciascuno con la propria voce, tutti fratelli!» (n. 8).

«Fratelli tutti…»: forse le parole che Cristo ha pronunciato in croce senza che nessuno le sentisse, forse il suo ultimo pensiero al Padre. Fratelli tutti: un grido silenzioso, il primo e l’ultimo sogno di Cristo, quello che ha sconvolto per sempre il mondo. (...)

Intanto, dopo aver a lungo, ogni giorno, fissato il Cristo in croce ed essersi immedesimato nel Suo sguardo sul mondo, il Papa punta a sua volta gli occhi sul pianeta e sull’umanità e se lo fissiamo a nostra volta, quest’uomo mite, paziente, generoso, otteniamo in dono la trasparenza degli occhi, e quindi del cuore, di Gesù.

Lo sguardo di amore di Gesù vede la sofferenza degli altri. Parti intere dell’enciclica sono dedicate alla contemplazione delle ferite del mondo, che Francesco descrive con una partecipazione speciale, come fossero sue ferite: lo scarto mondiale, sempre più grave e omicida, tra poveri e ricchi, i diritti umani negati a milioni di nostri fratelli, le guerre e la paura come strumento politico, la pandemia che sembrava unirci e già ci divide, l’irrigidirsi delle frontiere, le nuove schiavitù, l’aggressività senza pudore, l’illusione della comunicazione senza speranza, senza saggezza e senza profezia.

E ciò che il Papa offre al mondo dal prezioso “punto di vista” del Crocifisso (sul quale egli attira l’attenzione perché diventi per tutti un “punto da vedere”) è anzitutto la presenza di Dio creatore e Padre. E di Dio abbiamo bisogno tutti: poveri e ricchi, dotti e semplici, credenti e scettici, eredi di ogni cultura e fede religiosa. «Se non hai Dio», diceva santa Teresa di Calcutta, «sei troppo povero per aiutare i poveri».

Lo sguardo da bambino di Papa Francesco è quindi trasparenza del più grande: spoglio di ogni pregiudizio, disinteressato dall’esigenza di far prevalere un’ideologia o un partito, ma assetato (come tutti noi!) di bellezza, di pace, di intesa, di gioia, di amicizia che si moltiplica condividendola.

Sono tutti ingredienti di una vera festa: parola-chiave per Gesù, forma compiuta del suo sogno.

Dallo sguardo che Francesco riceve dal Crocifisso che brucia d’amore traspare una domanda che Gesù pose all’umanità e ancora ripete e ripeterà fino alla fine dei giorni: perché la vita degli uomini, tutti, non è una festa come potrebbe?

Se la nostra riflessione sulle sfide che coinvolgono tutti gli uomini, nessuno escluso e nessuno diverso, parte dalla considerazione dei comuni bisogni (e dal comune desiderio di fare della propria vita una festa), allora sì: siamo fratelli e allora cominciamo ad affrontare ogni problema da questo ostinato punto di vista: la fraternità.

Il covid ci ha resi tutti uguali, per una (speriamo) breve stagione. Ci lascia perciò la nostalgia (paradossale) di un momento (questo si’, purtroppo, brevissimo) di solidarietà universale che è stato bello condividere... ma che dovrebbe essere sempre la nostra vita e potrebbe garantire la sua qualità.

E dentro tutto questo, da tutto questo... concretezza!

Il Papa non vuole pubblicare una semplice predica, un’esortazione paterna a volersi bene o almeno a limitare i danni. Il Papa vuole dire: che l’odio, se ben analizzato, si rivela sempre senza ragione e soprattutto senza alcuna utilità; che possiamo guardare al mondo come lo fece Gesù, come il luogo dove ostinarsi a costruire ponti, e strade, e luoghi accoglienti, e famiglie e comunità e opportunità per chi le ha perdute o rovinate per strada...

Il Papa chiede intelligenza, fantasia, sogni che diventino progetti condivisi di una nuova economia — non è forse arrivato il momento? —, di una nuova politica, di una nuova cultura per un nuovo umanesimo, di un nuovo modo di abitare il mondo.

Chiede progetti fondati sull’“amicizia sociale” (sorprendente espressione: il motto del xix e xx secolo fu la “giustizia sociale”, con i risultati che conosciamo e con molte ma fragili conquiste...), su società aperte che integrino tutti, su libertà, uguaglianza e fraternità (vasto programma ancora incompiuto), sul valore della solidarietà, sui diritti senza frontiere, sui doni reciproci, sul valore delle radici che portano frutti, sulla cultura dell’incontro e dall’incontro, sull’“amore politico” — altro concetto rivoluzionario destinato a fare scuola —, sulla verità.

Francesco sa che è impegnativo, tutto questo, ma ci crede e dà il suo contributo perché guarda con gli occhi di Gesù. E sa che Gesù va fino in fondo nell’amore che costruisce, fino a decidere che lui stesso deve farsi pietra da costruzione, pane che sostiene lo sforzo, luce che cattura, consola, incoraggia e orienta lo sguardo.

Lui... e ciascuno di noi. Perché il mondo è complicato, squilibrato, diviso e troppo spesso ingiusto... perché il cuore dell’uomo è complicato, squilibrato, diviso e spesso ingiusto. Dunque, se l’origine del male nel mondo è nel cuore dell’uomo, solo la guarigione del cuore dell’uomo potrà sanarlo.

Questa enciclica di Papa Francesco ci dà l’occasione di fermarci e ci riporta in noi stessi.

A noi ora scegliere se vogliamo compiere un viaggio non più per conquistare potere o, al contrario, per scoraggiarci, ma per trovare senso. Papa Francesco ci dona queste parole perché sia possibile per ciascuno ripartire.

Il mondo può davvero diventare il luogo di una comune festa. La festa in cui Cristo rimase, con il desiderio, con il sogno, ma anche con parole e azioni conseguenti (che non a caso “guarivano”). La vera festa.

Perché se tutti fossimo fratelli, il Regno di Dio sarebbe già presente.

di Arnoldo Mosca Mondadori