Caritas Viterbo attiva il centro di distribuzione solidale per le famiglie bisognose

Con la testa e con il cuore

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04 novembre 2020

«L’emergenza da covid-19 ci ha fatto toccare con mano una realtà profondamente cambiata nel nostro territorio. Sempre più persone chiedono aiuti alimentari, alcune parrocchie hanno visto addirittura raddoppiare le famiglie in cerca di sostegno. Nello stesso tempo, soprattutto durante il passato periodo di restrizioni alla mobilità per il lockdown, sono diminuiti coloro che prima ci davano una mano portando le proprie eccedenze da distribuire. Allora ci siamo detti: “Dobbiamo fare qualcosa”. È così che è nato il nostro progetto». Con queste parole Luca Zoncheddu, direttore della Caritas di Viterbo, descrive un’iniziativa che è destinata ad apportare un grande contributo a una zona molto importante dell’Italia centrale. Nelle settimane scorse infatti è stato inaugurato a Bagnaia il Centro di distribuzione solidale Alto Lazio. L’evento, a cui ha preso parte anche il vescovo del capoluogo della Tuscia, monsignor Lino Fumagalli, si deve alle Caritas diocesane di Viterbo e di Civita Castellana, al Banco alimentare e ad altre associazioni, in collaborazione con Caritas Italiana.

L’obiettivo, spiegano gli organizzatori, è ampliare e valorizzare le iniziative per la raccolta e la distribuzione dei beni alimentari, creando sinergie tra i diversi territori, ottimizzando i sistemi finora sperimentati e sviluppando ulteriormente la capacità di risposta al bisogno.

Per approfondire il discorso su come l’intera zona del viterbese stia mostrando una grande sensibilità verso il tema dell’aiuto alimentare alle famiglie in difficoltà, abbiamo chiesto aiuto a una delle persone a cui più si deve questa e altre iniziative collegate al neonato Centro di distribuzione solidale Alto Lazio, il diacono permanente Luca Zoncheddu. «La struttura da poco inaugurata ufficialmente è in realtà operativa già dai mesi del lockdown. E seppur partita in sordina, con le comprensibili difficoltà degli inizi per un’iniziativa del genere, ha subito mostrato tutti i suoi benefici per la popolazione», spiega il direttore della Caritas di Viterbo. «Per la sede abbiamo utilizzato un grande capannone che era a disposizione della diocesi. Per tutti gli aspetti organizzativi e burocratici ci siamo invece appoggiati a chi fa questo lavoro “di mestiere”, come la struttura del Banco alimentare e altre associazioni che ci sono al fianco in tale impresa. Una volta sollevati da questi compiti più gravosi, ci siamo potuti dedicare meglio alla nostra missione di aiutare i più bisognosi con i generi alimentari di prima necessità».

Sono seguiti così accordi con grandi aziende agricole della zona, che hanno portato a risultati notevoli: «Possiamo contare su imprenditori che hanno accettato molto volentieri di dare a noi le loro eccedenze. C’è chi ci consegna ogni settimana ben seimila uova che altrimenti dovrebbe vendere sotto prezzo oppure addirittura destinare alla distruzione; c’è poi chi fa lo stesso con il miele o con il pane. In breve siamo riusciti a organizzare un magazzino fornitissimo: latte, pasta, zucchero, scatolame, pecorino sottovuoto. Non abbiamo la possibilità né le strutture per gestire il cosiddetto “fresco”, vale a dire i cibi facilmente deperibili come ortofrutta e carne, ma non è escluso che in futuro riusciremo a coprire anche quel settore. Anzi, ammetto che è proprio questo il nostro sogno nel cassetto, insieme con la possibilità di aprire al settore del riciclo».

Il Centro di distribuzione solidale Alto Lazio può contare su una rete di oltre sessanta strutture territoriali non solo religiose, ma anche laiche, «per esempio alcuni negozi specializzati in commercio equo e solidale, ma non soltanto quelli», precisa Zoncheddu. La catena funziona in modo semplice: i mezzi delle organizzazioni partner si recano presso il capannone per ritirare la merce, che smistano localmente secondo procedure e criteri molto rigorosi.

«C’è sinergia e siamo tutti convinti che porterà ancora tanti benefici. Ma quello a cui teniamo di più è che, accanto a una pur fondamentale opera di assistenza e sostegno in queste primissime necessità alimentari, possiamo instaurare una relazione più profonda e duratura con le famiglie. Soprattutto, essendo più liberi dalle incombenze burocratiche, abbiamo più tempo come Caritas, e dunque come Chiesa, per accompagnare i bisognosi lungo un percorso che gradualmente li faccia rientrare nella normalità», osserva il direttore. «La carità dev’essere fatta con il cuore, ma anche con la testa. Le persone vanno sostenute nei bisogni essenziali, ma nello stesso tempo hanno necessità che le loro competenze vengano valorizzate fino in fondo. In modo di avere in futuro una chance per rientrare nel mondo del lavoro».

di Valentino Maimone