«Prince. Il corpo del figlio»

Un lutto per restare umani

Ritratto di Prince Ani Guibahi Laurent Barthélémy (dal libro edito da People)
03 novembre 2020

Prendersi cura dei morti è la cosa più normale per noi esseri umani. O dovrebbe esserlo. Restituire un nome e un cognome, un corpo, una storia: un processo fondamentale per i vivi perché partecipando al dolore diventiamo umani. E tali restiamo.

È il diario di un lutto Prince. Il corpo del figlio (Gallarate, People 2020, pagine 118, euro 14) e della sua elaborazione da parte di un uomo ivoriano e di una donna italiana, padre di Prince l’uno e perfetta sconosciuta l’altra, eppure così necessariamente vicini rispetto a quel corpo. È la testimonianza di un incontro e di un dialogo tra Marius Ani Oulakolé e Chiara Alessi, tra chi sta all’origine del viaggio sognato dal ragazzino e chi invece si trova alla fine. Differenze che confluiscono in un discorso e in un agire comune attorno a dolore, dignità e rispetto.

C’è innanzitutto la notizia. Notizia che nasce ad Abidjan, in Costa d’Avorio: in una mattina di gennaio un quattordicenne, come ogni giorno, esce di casa per andare a scuola. Quarantott’ore dopo il suo corpo senza vita viene ritrovato a Parigi, nel vano del carrello di atterraggio di un aereo. Quel ragazzino — si scoprirà poi — si chiamava Prince Ani Guibahi Laurent Barthélémy.

«Prince Ani Guibahi Laurent Barthélémy è un ragazzino, con un nome e una foto e una famiglia e una casa e un Paese e un’età. Non è vero che la sua storia è la storia di tutti — scrive Chiara Alessi —. La sua storia è la sua unica storia, la sua storia è la sua storia unica. E, in mezzo a tutte le altre, è l’unica che qui possiamo raccontare. (…) Anche per chi non la avrà mai, una storia propria, e non avrà mai un nome, un cognome, una foto».

Nei giorni della notizia la giornalista si trova proprio ad Abidjan per un viaggio programmato molto tempo prima: dinnanzi ai lanci d’agenzia vorrebbe capire, vorrebbe raccontare quel che c’è oltre, quel che si cela dietro. Va a cercare la famiglia di Prince e trova Marius. Con l’incontro e il dialogo, prende forma quel progetto semplice e necessario: riportare il corpo del ragazzino a casa. È la battaglia di Marius Ani Oulakolé per poter riconoscere suo figlio; è la costruzione — passo dopo passo, burocrazia dopo burocrazia, intoppo per intoppo — di un volo a Parigi per poterlo vedere, e poi di un volo da Parigi per poterlo riportare a casa.

Prima di riuscire almeno a dare il conforto del rientro della salma di Prince, e quindi del funerale; prima della nascita dell’amicizia tra la giornalista italiana e il padre del quattordicenne ivoriano; prima del loro primo incontro, c’era stato l’arrivo in Italia di Andrea, giunto fortunosamente a Catania il 26 dicembre 2014 con uno dei quei viaggi, e poi dipendente della famiglia Alessi. È ad Andrea che Chiara chiede aiuto quando decide di deviare dal percorso previsto per raggiungere i genitori di Prince ad Abidjan («Mi puoi aiutare?». «Ci provo»), perché ogni cosa è la conseguenza degli incontri. È frutto del tessuto che si lavora assieme.

Con il loro libro Chiara Alessi e Marius Ani Oulakolé ci avvicinano alla frontiera. Alla frattura che spacca questo nostro mondo diviso tra chi sta qui e chi sta là; tra chi può di fatto tutto e chi può di fatto nulla. Esseri umani separati e ora — nel grande dolore — di nuovo vicini per costruire una storia, una tappa del cammino. Per costruire la memoria.

di Giulia Galeotti