Prima traduzione italiana per le Opere complete di Pascal

Pascal nostro contemporaneo

Hieronymus Bosch «Giardino delle delizie» (1480-1490)
03 novembre 2020

«La geometria è bensì il più bel mestiere del mondo, ma “inutile” rispetto al problema della salvezza». Le parole di Maria Vita Romeo, curatrice della recentissima edizione dell’opera omnia di Blaise Pascal (Bompiani 2020, pagine 3200, euro 70, testi francesi e latini a fronte), ci offre il senso più profondo della riproposizione del pensiero di questo scienziato, filosofo, teologo e matematico che si è inserito nel dibattito culturale del xvii secolo anticipando elementi che sarebbero affiorati molto più avanti nel tempo. Perché quelle parole fanno pensare a un altro filosofo e matematico, Ludwig Wittgenstein, vissuto tre secoli dopo. Alla fine del suo capo d’opera, il Tractatus logico-philosophicus, in cui pensava di aver chiarito i rapporti tra pensiero e segno verbale, Wittgenstein, convintosi di aver detto tutto in quel preciso campo, si eclissò nelle montagne austriache a insegnare in una scuola elementare. Abbiamo detto in quel preciso campo, perché il pensatore in realtà si andava ponendo domande molto più radicali sul senso dell’esistenza e sulla presenza di Dio tra gli uomini: proprio come nel caso della geometria di Pascal, utile per le considerazioni sulla raffigurazione dello spazio, ma piccola cosa rispetto alla questione metafisica. La questione definitiva ed essenziale per Pascal. Dopo le opere matematiche, come l’austriaco, Pascal si inabisserà in ciò che va oltre le misure e la logica umana.

Ma Wittgenstein non è l’unica sorprendente analogia con l’itinerario umano e filosofico di Pascal, e questa edizione ce lo dimostra ampiamente, con una accurata, integrale presentazione degli scritti di geometria, aritmetica e fisica, delle polemiche morali e religiose, delle lettere ai familiari e agli amici, degli Scritti sulla Grazia, delle cosiddette Provinciali, oltre ovviamente ai celebri Pensieri, ricondotti a una corretta e meticolosa storia degli autografi e delle edizioni. Il che ci permette di notare la forte interazione del giovane Pascal con il pensiero del suo tempo, con le forze in campo, la corte e la fronda, il re, i gesuiti, il Papa, e soprattutto Port-Royal e il giansenismo, ma anche la sua geniale ripresa critica del dibattito filosofico precedente e l’anticipazione, che abbiamo appena accennato, di tematiche in là da venire.

E, visto che molto è stato già scritto sul suo pensiero, ci soffermeremo soprattutto su questa sua capacità di intuire gli sviluppi futuri della logica, della filosofia e della ricerca religiosa, approfittando di questa edizione che permette finalmente una visione completa, diacronica e filologica delle varie fasi del suo pensiero, dei ripensamenti, della graduale maturazione, ma anche delle inevitabili aporie e dell’apparente oscurità di frammenti e appunti. Tenendo conto che quando si discute di anticipazioni rispetto ai tempi non si vuole alludere a qualcosa di magico, ma a tre elementi portanti e ben storicizzabili: la capacità di utilizzare — e filtrare — il magistero del passato, quella di servirsene per penetrare e cogliere genialmente quello che Goethe e i primi romantici tedeschi avrebbero chiamato lo Zeitgeist, lo spirito del tempo, e mostrare quello che del presente è talmente forte e profondo da proiettarsi costruttivamente nel poi.

Chiarito questo, da una visione d’assieme emergono alcuni elementi che nel nostro oggi vediamo come costanti del pensiero non solo occidentale, taluni davvero sorprendenti. Intanto la visione di un pensiero che, se fine a se stesso, diviene una minaccia per l’uomo, oltre a costituirne l’elemento distintivo rispetto alle altre creature: come non riandare al Leopardi del Canto notturno in cui il poeta non riesce a nascondere l’«invidia» per la «greggia» libera dai dubbi e dal timore della morte? Con l’evidente differenza che Pascal affronta il dubbio non come radicale negazione d’altro, ma come grado preparatorio per quella “scommessa” un po’ troppo banalizzata dalla vulgata, e che in realtà nasconde la finalizzazione del dolore — e del cuore, ad esso legato — alla costruzione dell’uomo nuovo anche a livello sociale, in grado di immettere la Grazia divina all’interno delle proprie azioni nel qui. A patto di riconoscere l’infinita piccolezza dell’essere uomo per potersi abbandonare all’assoluto divino.

Ma c’è dell’altro: con quella lucida visione di una perenne agitazione dell’uomo che teme i conti con il suo stato profondo nella quiete vi è quasi l’anticipazione della «Volontà» di Schopenhauer, che trascina sotto forma di desiderio insaziabile l’uomo nei sentieri determinati dalla natura. Non è un caso che Pascal si soffermi soprattutto sul gioco, ad esempio quello della palla, che una volta partito, impegna il partecipante con tutta la sua volontà. Eppure è solo un banale, talvolta infantile, gioco. E però azione, dimenticanza di sé. Quando il francese affronta la possibilità di raggiungere l’inazione non come ozio e pigrizia, ma come comprensione della pochezza dei desideri, ecco che torna al pensiero la fase ascetica del mondo come volontà e rappresentazione, che però nel tedesco non ha valenza morale, mentre in Pascal ha la funzione di armonizzare l’uomo-animale e l’uomo divino, nel senso di riconoscerne in umiltà l’abissale differenza. Se non fosse che il francese non gradirebbe questo tentativo di metterlo in rapporto con il pensiero filosofico che, come nota anche la curatrice, vedeva contaminato dalla «concupiscenza» e soprattutto privo di carità.

Ma quello che sorprende nel verificare, grazie a questa questa edizione, i temi ricorrenti del francese, è il frequente motivo dell’Eden come luogo perduto cui l’uomo aspira, senza neanche saperlo, con tutte le sue forze, e che ha condizionato tutta la nostra cultura, dal Dante della Commedia passando per il contemporaneo Milton fino a Hölderlin, alla Dickinson, a Eliot: nelle cose, anche le più banali, apparentemente- riaffiora talvolta il ricordo di qualcosa che è stato nostro. Siamo in un viaggio di ritorno, ma siamo anche nelle mani di un Dio che ci manda i segnali della sua Grazia attraverso questa reminiscenza.

Non solo trascendenza: nel pensiero 181 Pascal anticipa alcuni temi che saranno poi in Rousseau e in alcune componenti del socialismo più o meno utopistico: taluni pensatori avevano capito, secondo il francese, che «il vero bene dev’esser tale che tutti possano possederlo contemporaneamente, senza diminuzione e senza invidia, e che nessuno possa perderlo contro la sua volontà».

Quando un cercatore di verità riesce a penetrare negli elementi fondanti dell’umanità, allora ci sorprende anche per la sua capacità, in pieno Seicento, di cogliere le intuizioni talmente radicate nel nostro essere da riaffiorare nella fisica del Novecento con il cosiddetto «effetto farfalla», genialmente anticipato dal pascaliano «il minimo moto ha conseguenze su tutta la natura: il mare intero cambia per una pietra». Senza dimenticare che però Blaise si opponeva frontalmente a qualsiasi tentativo di antropomorfizzazione del cosmo. Ed è impressionante cogliere nei suoi scritti l’umile intuizione dell’impossibilità di dire una parola definitiva sull’universo in quanto l’uomo è parte stessa dell’oggetto osservato: quello che sarà il nucleo fondante del Principio di Indeterminazione di Heisenberg, premio Nobel per la Fisica nel 1932.

Senza per questo tacere che in Pascal torna un tema assai caro al pensiero più profondo del suo secolo, almeno in scrittori come Montaigne, Calderon de la Barca e Shakespeare: la contiguità tra stato di veglia e sogno, punto fermo di una nuova coscienza della complessità della vita umana che da La vita è sogno e dall’Amleto — ma soprattutto dalla Tempesta — attraverso infinite mediazioni porteranno alla stagione freudiana e al suo inevitabile superamento, pur nella tesaurizzazione dei valori non immediatamente soggetti al passaggio dei tempi. Con la rivalutazione, ancora una volta, delle ragioni del cuore.

Alla fine di questo percorso rimane la sensazione di una ricerca centrale nel pensiero occidentale, soprattutto perché portatrice dell’esigenza di approfondire i rapporti ragione-cuore, che è del resto uno dei motivi della sua persistenza nell’immaginario collettivo d’occidente. L’elemento metafisico si inserisce come fondamento in questa drammatica ricerca di equilibrio, perché la fede — e il cuore — impongono, soprattutto nel corso delle due crisi religiose di Pascal, un radicale ripensamento delle proprie azioni. Sebbene portato alla conciliazione degli estremi in una moderna dinamica di pensiero e azione, di finito-infinito, il francese proclama la sua resa di fronte alla figura e al messaggio di Cristo. E, da uomo padrone della cultura scientifica, filosofica e teologica del suo tempo, alla semplicità abissale del Vangelo.

L’intera sua opera è un continuo tentativo di avvicinare la piccolezza dell’uomo alla infinitudine divina attraverso un rovello interiore ma anche alcune scelte di campo che lo portano a schierarsi ad esempio contro i gesuiti e dalla parte del giansenismo: la dialettica antropologica da sola è perduta nel buio della resa al caso e al dubbio senza l’attiva partecipazione alla sequela del Cristo. Il che vuol dire l’altra faccia della sistematica pascaliana, così tesa alla ricostruzione logica delle aporie d’occidente, dai presocratici a Montaigne, e nello stesso tempo affascinata dall’azione evangelica. Senza Gesù l’uomo sarebbe sbilanciato o dalla parte di una brutale animalità o in quella di una intelligenza pur sempre umana, di una cultura fine a se stessa che non salverebbe, e questo è un ulteriore segnale di modernità, dalla nausea esistenziale che ritroveremo poi in Kierkegaard e nell’esistenzialismo.

L’unicità del pensiero pascaliano è proprio in questa continua oscillazione tra ricerca della giusta medietà (pur nella assoluta coscienza della sua impossibilità) e sprofondamento nel non-senso (per l’intelligenza razionale) dell’imitazione di Cristo, fatta di assoluta ubbidienza alle sue parole: è Gesù il compimento di una Parola che ha rischiato di perdersi nelle ombre dell’orgoglio intellettuale, delle eresie, di quei compromessi che pure ricercati da Pascal nel fare dell’uomo, erano da lui esclusi nell’ubbidienza alle parole del Messia.

di Marco Testi