L’iconografia e il culto della martire a Roma

La cripta di Cecilia

Cripta di Santa Cecilia, Catacombe di San Callisto
23 novembre 2020

Il 22 novembre il Martirologio Geronimiano — che, come è noto, risale al V secolo, nella stesura definitiva — ci ricorda il dies natalis  di Cecilia, il cui sepolcro, secondo un’affabulazione leggendaria e le ricerche archeologiche del secolo scorso di Giovanni Battista de Rossi e Joseph Wilpert, dovrebbe collocarsi nel cuore del complesso callistiano, a fianco della cripta dei Papi.

Ebbene, qui si apre un’ampia cripta, costellata di infiniti segni di devozione, nei confronti dei più celebri santi del comprensorio, che interessa la via Appia e segnatamente, Sebastiano oriundo di Milano, Quirino di Siscia, Policamo e Ottato provenienti dall’Africa, descrivendo un santorale internazionale, come dimostrano gli affreschi che decorano il maestoso lucernario, a partire dalla fine del V  secolo. Nel grande cubicolo sorge anche il culto di una Cecilia, da collegare, secondo il de Rossi, a certi ingiudicabili frammenti epigrafici, che menzionano, più o meno chiaramente alcuni appartenenti alla gens  degli Cecilii, che, sulla via Appia — come è noto — ritornano spesso, come dimostra il celebre mausoleo di Cecilia Metella. Nella Cripta è poi rimasto — seppure molto provato dal degrado — un quadro-icona, che si propone come un palinsesto che alterna l’affresco al mosaico e che data al vii  secolo. L’immagine rappresenta la martire Cecilia orante, giovane e vestita come una basilissa bizantina, assieme ad alcune pitture altomedievali che raffigurano, rispettivamente Papa Urbano, coinvolto, nella passio  medievale, con la fine della fanciulla cristiana, e il busto del Cristo Pantocrator. Negli anni centrali dell’Ottocento, la cripta callistiana di Santa Cecilia, sistematicamente scavata e restaurata, fu visitata da Pio ix , che, dinnanzi a queste scoperte, si commosse e sostenne l’archeologo romano nelle sue instancabili imprese.

L’altro polo agiografico, che rievoca la figura di Cecilia può essere collocato nel cuore del quartiere romano di Trastevere, dove è situato il titulus Caeciliae , ricordato negli atti del sinodo del 499 e, in seguito, in quelli del sinodo del 595, mentre nel Liber Pontificalis , il monumento viene definito ecclesia sanctae Caeciliae . Scavi ottocenteschi e indagini più recenti hanno recuperato, al di sotto dell’attuale basilica, edifici di età imperiale, con abitazioni riferibili al secondo secolo dopo Cristo, e una terma tardoantica, dove la leggenda ambienta il martirio di Cecilia. Dell’edificio paleocristiano è stato intercettato un battistero, con vasca esagonale, ricoperta di marmi e un probabile baldacchino. L’edificio battesimale presentava decorazioni pittoriche, che rappresentano dei sontuosi velari, riferibili al sesto secolo, con rifacimenti dell’alto medioevo.

Nel nono secolo, il Pontefice Pasquale I  (817-824) ristrutturò completamente il complesso basilicale e commissionò un mosaico absidale, che raffigura una teoria di figure sante contro un fondo aureo. Al centro è il Cristo, che indossa vesti dorate e che è affiancato da san Paolo, santa Cecilia, il Pontefice Pasquale I, riconoscibile dal nimbo quadrato, san Pietro, san Valeriano e sant’Agata. In basso, scorre la teoria degli agnelli-apostoli che si muovono verso l’agnello apocalittico, mentre un’iscrizione aurea in fondo azzurro rievoca la fondazione dell’edificio di culto. Nel 1293, Arnolfo di Cambio impreziosì la basilica con un bel ciborio, mentre nel 1600 Stefano Maderno scolpì la celebre statua, che rappresenta il corpo inerme di Cecilia, ora sistemata sotto l’altare.

La controfacciata della splendida basilica trasteverina fu affrescata da Pietro Cavallini (1289-1293) con un armonioso Giudizio Universale , dove Maria e Giovanni Battista sono raffigurati tra gli apostoli, mentre uno stormo di angeli suona le trombe del giudizio.

di Fabrizio Bisconti