Grazie alla mediazione della Russia, Azerbaigian e Armenia hanno raggiunto ieri sera un accordo per il cessate il fuoco totale nella regione meridionale caucasica contesa del Nagorno-Karabakh. Lo ha confermato il Presidente russo, Vladimir Putin.
«Non ho dubbi che la risoluzione politico-militare del conflitto porterà pace e solidarietà duratura alla nostra regione e porrà fine allo stallo e allo spargimento di sangue», ha detto stamane il presidente azero, Ilham Aliyev, in videoconferenza con Putin. «A mio parere — ha aggiunto — la soluzione sarà vantaggiosa sia per il popolo dell’Azerbaigian, sia per il popolo dell’Armenia e per tutti i popoli della regione».
Il contingente di mantenimento della pace nel Nagorno-Karabakh sarà rappresentato dai militari russi.
Di tutt’altro tenore le dichiarazioni provenienti da Yerevan. Il Primo Ministro armeno, Nikol Pashinyan, ha infatti detto di avere firmato un «doloroso accordo» con i Presidenti di Azerbaigian e Russia per porre fine alla guerra.
La sua dichiarazione è arrivata poche ore dopo la conferma che la città chiave di Shushi era stata conquistata dalle forze armate azere.
Descrivendo la mossa come «indicibilmente dolorosa per me personalmente e per il nostro popolo», Pashinyan ha detto di avere preso la decisione come risultato di «un’analisi approfondita della situazione militare», che ha visto le truppe azere avanzare, spiegando che l’accordo è «la migliore soluzione possibile alla situazione attuale».
Intanto, la polizia armena ha ripreso il controllo della sede del Governo e del Parlamento a Yerevan, dopo che i manifestanti hanno fatto irruzione nella notte per protestare contro la firma del cessate il fuoco. Lo riporta la Afp. Un cordone di poliziotti in antisommossa è stato posizionato sul piazzale dell’edificio.
Dopo l’annuncio dell’accordo, centinaia di manifestanti contrari alla tregua hanno assaltato le sedi del Governo. I manifestanti hanno rotto i vetri delle finestre della residenza ufficiale di Pashinyan e strappato la targhetta dalla porta del suo ufficio, accusandolo di tradimento.