Religio - In cammino sulle vie del mondo

Uniti nella diversità

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14 ottobre 2020

L’Eurispes stima che nel 2030 in Italia saranno 35.807 i matrimoni misti. Secondo i dati Istat, risalenti al 2018, sono stati celebrati in Italia 195.778 matrimoni, circa 4.500 in più rispetto al 2017. Dieci su cento sono misti e accanto alle nozze celebrate con rito religioso aumentano anche quelli con rito civile, passando dal 36,7 per cento del 2008 al 50,1 per cento del 2018, mentre tra i matrimoni celebrati con rito civile, frutto della diffusione delle libere unioni, nell’89,5 per cento dei casi almeno uno dei due sposi è straniero. Statistiche che disegnano una nuova fisionomia dell’Italia, un nuovo approccio al sacramento del matrimonio e di come la decisione o meno di unirsi secondo un rito religioso acquisti un peso sostanziale per la coppia, lo sviluppo di una nuova famiglia e l’educazione dei figli.
Cifre che rispecchiano però anche l’urgenza di affrontare il tema anche dal punto di vista interreligioso e le sfide che queste unioni comportano. Per questo il gruppo «Donne di fede in Dialogo di Religions for Peace Italia» ha promosso nei giorni scorsi, in collaborazione con la Commissione pari opportunità del Comune di Roma, il convegno «Coppie e religioni. Uniti nella vita, diversi nella fede», svoltosi presso la sala della Protomoteca in Campidoglio.
«Quello dei matrimoni tra persone di religioni diverse è un argomento a me molto caro che ho iniziato a toccare con mano già nel corso dei miei anni al Comune di Roma — ci spiega Franca Coen, già responsabile del gruppo — quando ero delegata per il sindaco (allora Walter Veltroni) alle politiche della multietnicità e intercultura. In quegli anni (dal 2001 al 2008) ero responsabile anche della consulta delle religioni e spesso emergeva questo tema, soprattutto in relazione all’educazione dei figli».
Un’esperienza che ha segnato l’attività divulgativa della Coen anche una volta giunta in Religions for Peace: «Il tema è ampio e al tempo stesso delicato — prosegue — ma quello dei matrimoni misti è un argomento che non viene quasi mai toccato in un’ottica di fedi diverse, mentre secondo noi è realmente un punto sensibile, che investe di conseguenza anche le agenzie educative della nostra società come la scuola». Da qui l’idea di promuovere questo primo incontro, che si inserisce in un percorso più ampio di ricerca portato avanti dal gruppo che riunisce donne di diverse fedi e che lavora da anni insieme ad altre realtà sul territorio italiano, promuovendo convegni e percorsi formativi per indagare il femminile nella società di oggi in relazione alle religioni. Il ruolo della donna, in quanto rappresentante di fede, in relazione alla famiglia e alla società in cui vive, è tra i pilastri di questo gruppo che ha come missione quello di sostenere processi di dialogo, pace e l’apporto positivo delle donne alle religioni. «La chiarezza dell’appartenenza, anche sul piano della fede, è importante per definire una identità — prosegue Coen che è anche vice presidente nazionale di Religions for Peace — e sono particolarmente affezionata a questo tema perché, in qualità di membro fondatore della comunità ebraica riformata Beth Hillel, ci confrontiamo quotidianamente con tale problematica». Un percorso di ricerca che è stato sposato dal Comune di Roma, nella persona della consigliera comunale Gemma Guerrini, che ha colto l’importanza della riflessione alla base dell’indagine.
L’incontro ha offerto molti spunti di riflessione anche sull’approccio che ogni religione riserva a queste unioni a partire proprio dalla cerimonia nuziale. Grazie alle voci delle rappresentanti femminili che compongono il gruppo, è stato spiegato come avviene il rito in ogni confessione, soffermandosi anche su quali sono le difficoltà che i coniugi affrontano quando decidono di unirsi. Unioni riflesso di un cambiamento sociale, economico e politico vissuto negli ultimi trent’anni dalla società italiana. «Io credo che quando parliamo di intercultura — sottolinea la dottoressa in ricerca educativa e sociale all’Università Roma Tre, Katiuscia Carnà, che ha aperto il convegno — non si parla soltanto dell’approccio all’altro in quanto straniero, ma l’altro è “l’altro” fuori di me e quindi significa interfacciarsi con le differenze. In questo la coppia è il primo microcosmo sociale in cui rapportarsi con l’altro, con le sue diversità, il suo credo e le sue tradizioni. Inoltre, penso che le persone riescano a trovare affinità simili, al di là del background religioso, che si rifanno a una educazione che hanno ricevuto. Nel mio stesso caso la  visione della vita è molto simile a quella di mio marito Amin che è musulmano ed è nato in India. Penso che ci siano valori trasversali a tutte le religioni e credo che una relazione basata sul rispetto sia il punto di partenza fondamentale in un matrimonio interfede».
Proprio il concetto del rispetto è tra le parole ripetute più spesso nel corso dell’incontro, anche nelle toccanti testimonianze di tre coppie che hanno concluso i lavori. Nelle parole dei coniugi, che hanno raccontato la loro storia, è emerso come l’amore sia stato il collante per superare le difficoltà imposte dalle istituzioni religiose, piuttosto che dalle comunità di appartenenza.
Un cammino certo non semplice che apre nuovi scenari e nuove sfide, soprattutto a livello pastorale. Quello infatti di una giusta cognizione e accompagnamento spirituale delle guide religiose è stato un altro punto cruciale su cui più di un relatore si è soffermato. L’importanza di comprendere i documenti che regolano la materia, ma anche la necessità di incontrare i bisogni reali dei fedeli: «Il nostro auspicio — conclude Franca Coen — è quello di una maggiore collaborazione tra i rappresentanti delle religioni affinché possano lavorare tra loro, per il bene delle religioni e dei fedeli. In un mondo globalizzato come quello in cui viviamo, quello dei matrimoni interfede deve diventare un tema centrale anche nelle dinamiche pastorali e noi, in quanto gruppo di donne di fedi diverse, ci mettiamo a disposizione per una sincera collaborazione al fine di attivare nuovi processi di cambiamento».

di Francesca Baldini