La vita della Chiesa ad Amatrice quattro anni dopo il terremoto

Unità e fratellanza per la ricostruzione

La Via Crucis davanti al cantiere dell’antica chiesa di Sant’Agostino semidistrutta nel 2016
01 ottobre 2020

Ha un piccolo campanile in legno la parrocchia di Amatrice allestita in una struttura prefabbricata. È intitolata a sant’Agostino, come la chiesa quattrocentesca in gran parte crollata a causa delle scosse sismiche del 2016 e 2017. Com’era un tempo lo ricorda all’ingresso una riproduzione fotografica dell’antica facciata. Il nuovo anno pastorale, il quarto tra macerie e qualche cantiere, è iniziato e le attività della parrocchia, già ridotte per le condizioni in cui versa il territorio in attesa della ricostruzione e diminuite ulteriormente a causa dell’emergenza covid-19, sono state riorganizzate nel rispetto delle misure sanitarie imposte dalla pandemia. Dopo lo stop dei mesi scorsi, i fedeli sono tornati a messa, distanziati, i sacerdoti hanno ricominciato a celebrare fra le Soluzioni abitative in emergenza (Sae) — anche se qualche caso di coronavirus ha reso necessarie nuove precauzioni —, mentre dalle macerie riemergono ancora suppellettili, oggetti sacri e paramenti liturgici della parrocchia. Sabato scorso è partito il catechismo per i ragazzi che si preparano alla cresima, si stanno organizzando le classi dei bambini che riceveranno la prima comunione, si pensano proposte per i giovani e si studiano nuove modalità per i corsi prematrimoniali. La parrocchia di Sant’Agostino è affidata alla cura pastorale della Famiglia dei Discepoli, la congregazione maschile voluta da don Giovanni Minozzi accanto all’Opera nazionale per il Mezzogiorno d’Italia fondata ad Amatrice. Nella canonica provvisoria vivono don Adolfo Izaguirre, che ha la cura delle anime di Amatrice e Sant’Angelo da circa un anno, e don Giuseppe Marrone, parroco di Torrita e Scai. Al loro fianco le Ancelle del Signore, la congregazione femminile che don Minozzi associò alla sua Opera, oggi, tuttavia, soltanto due: si occupano della chiesa, accompagnano i sacerdoti nelle visite ai fedeli e non lasciano soli gli anziani. Il parroco di Sant’Agostino, don Adolfo, ha tante idee, vorrebbe sviluppare una pastorale giovanile, coinvolgere di più i laici nella catechesi, far partire gli incontri della Comunità Laudato si’ costituita il 13 agosto scorso per educare alla cura del creato. Ad Amatrice l’idea della diocesi di Rieti e di Slow Food, che hanno dato vita a Comunità Laudato si’ in tutta Italia, è quella di trasformare il Complesso Don Minozzi, danneggiato dal terremoto, in un  luogo di rinascita e innovazione, con un centro studi internazionale: la Casa futuro - Centro studi Laudato si’, una grande struttura che sarà luogo di accoglienza e formazione sulle tematiche ambientali e le loro ricadute sociali, aperto alle nuove generazioni per offrire opportunità capaci di unire sostenibilità, biodiversità, forestazione e lavoro innovativo. Ma don Adolfo adesso deve affrontare l’oggi: cercare di coinvolgere i giovani in nuove iniziative, programmare appuntamenti ricreativi, sensibilizzarli alla salvaguardia delle loro montagne, educare i più piccoli ai valori cristiani, aiutare chi è nel bisogno e raggiungere quanti hanno più difficoltà e non ce la fanno ad arrivare a fine mese, sostenere gli anziani soli. E sa che il desiderio più grande dei suoi fedeli è vedere Amatrice ricostruita e per questo nelle sue omelie insiste perché si faccia comunità, perché unità e fratellanza sostengano il futuro. Accanto alla parrocchia di Amatrice prosegue l’impegno della Caritas, con gli aiuti e l’assistenza ai più disagiati, ma anche con nuove attività. Ad affiancarla, da due anni, c’è l’impresa sociale ProMis (Progetto Missioni) che ha dato lavoro a 18 persone. Nata su impulso della diocesi di Rieti, gestisce svariati servizi assistenziali, spiega Claudia Quaranta, volontaria del Centro di ascolto Caritas e operatrice di ProMis, organizza centri estivi per bambini e ragazzi, cerca di ricucire il tessuto sociale disgregato dal terremoto. Claudia, 30 anni, due figli, c’era quel 24 agosto di quattro anni fa. Quella notte ha vissuto il terrore quando al buio e fra le macerie della sua casa i suoi bambini non le rispondevano. Poi le loro flebili voci e il sospiro di sollievo nel riabbracciarli. Conosce la solidarietà, la vede con i propri occhi, la sperimenta sulla propria pelle: arriva tanta gente a prestare aiuto, a fare del bene. E decide lei stessa di donarsi per gli altri; nella Caritas prima e nell’impresa sociale ProMis poi. «Io ho ricevuto tantissima solidarietà, come tutti gli amatriciani — dice — e ho capito che la forza delle relazioni può aiutare a superare anche i momenti più difficili, che la vita ha un senso se ci si mette a disposizione, ci si mette in gioco, perché altrimenti non è una vita vissuta appieno. Per questo voglio dedicare la mia vita agli altri. Questa forza la devo a tutti quelli che qui sono venuti per tenderci una mano».

di Tiziana Campisi