Spunti di lettura della «Laudato si’»

Tra ecologia e antropologia

Salvatore Cataldo, «Inquinamento»
01 ottobre 2020

Il contesto storico contemporaneo, investito da una profonda crisi metafisica, sembra aver concretamente assunto i tratti di una lotta tra la terra e l’uomo con lo scopo del dominio: «Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla» (Laudato si’ 1, per il testo ufficiale cfr. Francesco, Lettera enciclica Laudato si’, in Acta Apostolicae Sedis 107 [2015), 849-945). Per questo, fra i poveri più abbandonati e maltrattati, c’è la nostra oppressa e devastata terra, che «geme e soffre le doglie del parto» (Romani,  8, 22).

C’è un’illusione diffusa e persistente di possesso e di potere che, mentre tende attraverso la tecnica a materializzare ogni cosa, demotiva “sdivinizzando” ogni visione del creato e, in esso, dell’uomo stesso il quale va perdendo il senso del peccato che comporta la mancata distinzione fra male e bene, e perciò l’indifferenza verso l’obiettivo “verità”. Quando la natura smette di essere manifestazione del divino, inesorabilmente la crisi della Terra si trasforma anche in crisi di Dio e degli esseri umani, diviene in altre parole “questione antropologica”.

Luigi Sartori sostiene che «il mondo sembra piuttosto nelle mani dell’uomo e sua creatura, che non nelle mani di Dio e sua creatura» (cfr. L. Sartori, Riconciliazione della fede con la cultura, in L’unità dei cristiani - commento al decreto conciliare sull’ecumenismo, Messaggero, Padova, 1992). Da qui il relativismo morale e tutte le sue drammatiche conseguenze, tra cui l’agnosticismo funzionale, ovvero l’indifferenza nei confronti del creato e di Dio che favorisce il «degrado della natura […] strettamente connesso alla cultura che modella la convivenza umana» (Laudato si’, 6).

Tutto questo rinviene le proprie cause in quell’operazione culturale di smontaggio dal Trascendente che ha compiuto la modernità, dove si è passati da Dio all’io, dalla Trascendenza all’idolatria. Questo modello è stato messo in discussione e, nella linea di questa messa in discussione, Moltmann suggerisce che la conoscenza dev’essere acquisita a modo di partecipazione e non di dominio (J. Moltmann, Dio nella creazione. Dottrina ecologica della creazione, Queriniana, Brescia, 2007).

La vita in questo nostro tempo sembrerebbe scorrere fuori dalla dottrina della fede e i veri dogmi sono fuori della vita. Nella nostra dogmatica non vi è più il vero Dio di Gesù Cristo, per dirla con Walter Kasper. Sembra infatti polverizzato il senso dell’Assoluto, esigenza prioritaria della fede. In tale contesto, l’emotività sostituisce la ragione e diventa presso le nuove generazioni criterio di verità e principio etico, si denuncia la “notte dell’etica” (F. Garelli, Forza della religione e debolezza della fede, Il Mulino, Bologna. 1996, 17), la cui radice è rappresentata dalla povertà spirituale, dall’allontanamento dell’uomo da Dio, dalla tendenza di vivere come se Dio non ci fosse. Per una ironia della storia, i naturalisti che sembravano propensi all’agnosticismo e a forme di indifferentismo, richiamano oggi l’attenzione sul fatto religioso.

La sfida ecologica-ambientale mette a dura prova il futuro del pianeta: a essa la Chiesa — «esperta in umanità», come l’ha definita Paolo VI nella lettera enciclica Populorum progressio (26 marzo 1967), n. 13, e «ospedale da campo», secondo la definizione di Papa Francesco — è chiamata a dare il suo orientamento sicuro rendendone ragione con la propria testimonianza. Infatti, non saremmo mai sentinelle del mattino (Isaia, 21, 6) se non restassimo vigili nella nostra azione pastorale dinanzi alle sfide che la scienza, la tecnica, la cultura e le ideologie in genere pongono sul nostro cammino.

Come ogni documento, anche la Laudato si’ vive nel suo contesto che vede l’umanità «ad una svolta» della sua storia — Teilhard de Chardin direbbe «ad un cambiamento di età» — paragonabile forse soltanto a quell’intreccio di «rivoluzioni», scatenatesi negli ultimi decenni del Settecento. Articolata in sei capitoli con vigore speculativo e fedeltà analitica ai testi e alle questioni via via esaminati, affronta con una lettura critica le sfide di un pianeta minacciato dal mutamento del clima, dalla degradazione del territorio e delle altre risorse naturali  e propone orientamenti per contrastare l’anti-umanesimo materialista che ispira qualsivoglia teoria sul rapporto uomo-natura senza a priori definire lo statuto ontologico di entrambi: i termini della relazione.

È innegabile alla luce di tali considerazioni che la soluzione del problema non può essere semplicemente tecnologica e/o economica, ma coinvolge profondamente i valori etico-sociali e quelli etico-religiosi. Per antonomasia il magistero del successore di Pietro è diretto alla cura dell’uomo: sospeso dialetticamente tra la salvezza già realizzata da Cristo e l’attesa del compimento finale e lateralmente non esita a far sentire il proprio pensiero critico, i propri dubbi nei confronti di un’economia di rapina o di un concetto di sviluppo tecnologico giudicato distorto nel fine.

Con l’attuale Pontefice il discorso sul problema ecologico, da intendersi come tema complessivo, sembra pervenire al suo livello più alto. Infatti, nella Laudato si’ non è la  salvezza dell’uomo al centro degli interessi speculativi e soteriologici di Francesco, ma quella della “casa comune”, senza la cui tutela l’umano dell’uomo potrebbe subire ulteriori riduzionismi. Con un’inversione primigenia, questa enciclica non parte da Dio, ma da terra, acqua, agricoltura, cibo, energia. Ma se si riflette un attimo, «il nostro stesso corpo è costituito dagli elementi del pianeta, la sua aria è quella che ci dà il respiro e la sua acqua ci vivifica e ristora» (Laudato si’, 1).

I presupposti e le domande di fondo che orientano lo sviluppo di questo documento pontificio sono molti e intrinsecamente connessi. Già il titolo Laudato si’, di ispirazione profondamente francescana, convalida che la scelta del nome Francesco non è stato uno scoop di “marketing spirituale”, ma un’intuizione ispirata che vede nel Poverello d’Assisi un archetipo cui ispirarsi per l’esercizio del ministero petrino e la vita di tutta la Chiesa in questa seconda decade del terzo millennio. E così, nel rivolgersi «all’Altissimu, onnipotente, bon Signore» come al datore di ogni bene, il Pontefice da un lato risintonizza il mondo cattolico sul piano più progredito dell’investigazione scientifica, dall’altro dilata la propria popolarità spirituale collocandosi prospetticamente sulla scia dei suoi immediati predecessori e dei leader religiosi più sensibili alle questioni ambientali, come il Dalai Lama e il patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo.

Papa Francesco parte da una lettura della crisi che oggi accerchia concretamente ogni aspetto della cultura contemporanea. Dal futuro post-umano inaugurato da un’incontrollata bioingegneria, al cambiamento climatico e al catastrofico degrado ambientale, i segni della non-intelligibilità dell’essere, e dell’essere umano in particolare, si trovano ovunque, così come la preoccupazione che l’uomo, nella sua prometeica pretesa di dominio tecnico, si sia solamente reso schiavo di forze che non può controllare. Perché «la tecnica è nata proprio dalla corrosione del trono di Dio. Potenziata dalla religione, che aveva preparato il terreno per iscrivere la tecnica in un progetto di salvezza, la tecnica ha portato la religione al suo crepuscolo e, con la religione, la storia che è nata dalla visione religiosa del mondo» (U. Galimberti, Nessun Dio ci può salvare, in MicroMega. Almanacco di filosofia, n. 2 [2000], 198.

Fino all’avvento della scienza moderna con i padri fondatori del paradigma scientifico vigente — Cartesio, Galileo Galilei e soprattutto Francis Bacon — la Terra era sentita e vissuta come una realtà viva e irradiante che ispirava timore, rispetto e venerazione. Oggi, invece, secondo la lettura dell’ecologista Thomas Berry — condivisa anche da Papa Francesco — la terra sembrerebbe non poter «reggere il peso che le è stato imposto. In molte zone l’aria è stata inquinata. L’acqua del pianeta sarà tossica per un periodo di tempo indefinito. Il suolo terrestre e saturo di prodotti chimici. Possiamo solo immaginare le conseguenze per la vita fisica e psichica della comunità umana, specialmente per i bambini che vivono in questo ambiente chimicamente saturo dal giorno del concepimento. La degradazione fisica del mondo naturale e anche la degradazione del mondo interiore dell’essere umano. Tagliare le foreste centenarie non significa solo distruggere l’ultimo 5 per cento delle foreste primordiali rimaste in questo paese. Significa perdere la meraviglia e la maestà, la poesia, la musica e l’esaltazione spirituale evocate da un’esperienza tanto imponente dei misteri profondi dell’esistenza. Significa perdere l’anima, più che perdere legna o denaro» (T. Berry, The Great Work, Bell Tower, New York, 1999, 110).

Si assiste, in breve, a livello ecologico a un mutamento di prospettiva che, secondo Jürgen Moltmann,– viene egregiamente narrato da una antica barzelletta: due pianeti si incontrano nell’universo. Il primo chiede: «Come stai?». L’altro risponde: «Abbastanza male. Sono ammalato. Ho l’“homo sapiens”». Il primo replica: «Mi spiace. È una brutta cosa. Anch’io l’ho avuto. Però consolati, passa!». Ecco la prospettiva nuova e planetaria per l’umanità: questa malattia umana planetaria passa perché il genere umano si autodistrugge, oppure passa perché il genere umano saprà diventare saggio e curare le ferite che esso ha finora inflitto al pianeta Terra (cfr. J. Moltmann, Il futuro ecologico della teologia moderna, in Il Regno - Documenti, 21/2012, 692)? C’è bisogno, allora, di più chiarezza e di maggior coraggio nel professare l’appartenenza alle proprie radici, proclamando l’identità di essere cristiani di fronte alle tentazioni subdole promosse da una certa politica o di fronte alle insidie tese da un’ecologia pseudo-religiosa che si è radicalizzata nella cultura del nostro tempo.

Viviamo in un’epoca dinamica e complessa, segnata dall’accelerazione del tempo con rapido consumo e invecchiamento di cose, individui, relazioni umane e dalla globalizzazione del mondo, unificata dall’economia, dalla tecnologia e dall’avvento sempre più incombente della rete informatica. «Benché il cambiamento faccia parte della dinamica dei sistemi complessi, la velocità che le azioni umane gli impongono oggi contrasta con la naturale lentezza dell’evoluzione biologica. A ciò si aggiunge il problema che gli obiettivi di questo cambiamento veloce e costante non necessariamente sono orientati al bene comune e a uno sviluppo umano, sostenibile e integrale. Il cambiamento è qualcosa di auspicabile, ma diventa preoccupante quando si muta in deterioramento del mondo e della qualità della vita di gran parte dell’umanità» (Laudato si’, 18). Il rischio vero cui il Pontefice fa riferimento non è semplicemente quello legato all’irrazionale distruzione dell’ambiente naturale, ma quello, ancora più insidioso, che riguarda “l’ambiente umano”, dove si materializzano condizioni che impediscono all’uomo di raggiungere la piena realizzazione del proprio essere. Infatti, un desiderio di sperimentazione a oltranza, sul piano scientifico, ma anche antropologico ed etico, minacciano la sopravvivenza dell’uomo con l’avvento del “vuoto” e la conseguente perdita di umanità o “disumanizzazione”. Ciò che è in gioco oggi è il “principio di umanità” e la sua legittimità, sempre più minacciata. Il novum della questione antropologica sta, appunto, in un’operazione di smontaggio, che cancellando dal volto dell’uomo i tratti che ne rivelano la somiglianza con Dio, lo riconduce alla sua condizione meramente biologica, rendendolo perciò oggetto di possibili e diversificati interventi di trasformazione e di manipolazione. Così «l’uomo da soggetto che pensa, diventa oggetto pensato o addirittura uno strumento, una cassa di risonanza» (N. Galantino, Sulla via della persona, 82). Al disorientamento antropologico si aggiunge un’emergenza di carattere sociale causata, come scrive Gianni Ambrosio, da «un’antropologia che pone l’enfasi sul singolo soggetto e la sua libertà, che considera l’individuo come slegato da ogni solidarietà con chi è vissuto prima di lui e come responsabile (in senso assoluto) della propria vita. Si è di fronte alla globalizzazione dell’individualismo: solo l’io e la sua realizzazione sembrano avere oggi diritto di piena cittadinanza» (cfr. G. Ambrosio, Tra fragilità ed entusiasmo. Uno sguardo al cristianesimo che verrà, in La Rivista del Clero Italiano, 85 [2004], n. 12, 857-872; 860-861).

Scrive il Santo Padre a riguardo: «Una presentazione inadeguata dell’antropologia cristiana ha finito per promuovere una concezione errata della relazione dell’essere umano con il mondo. Molte volte è stato trasmesso un sogno prometeico di dominio sul mondo che ha provocato l’impressione che la cura della natura sia cosa da deboli» (Laudato si’, 116). Qui, sorprende l’ardire con la quale il Papa persevera sul connubio che intercorre tra i problemi sociali e quelli ambientali. «Un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale» che deve «ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri» (Laudato si’, 49).

Gli apparati scenici del mondo in questo stadio di avvio del terzo millennio non paiono particolarmente dischiusi alla speranza. La crisi della Terra si trasforma anche in crisi di Dio e degli esseri umani quando la natura smette di essere manifestazione del divino. Senza insistere su facili e sterili catastrofismi, si deve riconoscere che non sono pochi i segnali che manifestano una accentuata paura nel futuro e che sembrano indulgere a pessimismo piuttosto che all’ottimismo. Afferma Moltmann, il teologo che più di ogni altro nella sua lunga e prolifica attività accademica si è occupato di ecologia: «Le crisi ecologiche distruggono le condizioni vitali della terra. Per conservarla malgrado le forze distruttive, abbiamo bisogno di un sì alla terra che superi tali forze e di un invincibile amore per la terra» (J. Moltmann, La terra redenta dall’eco-teologia, in «Avvenire» di venerdì 18 maggio 2012).

Nel difficile momento storico che stiamo attraversando, caratterizzato da forti mutamenti socio-culturali-politici e religiosi, è urgente ripensare coraggiosamente a nuovi modelli informativi e a più adeguati metodi formativi, in grado di attualizzare concretamente il progetto religioso giudeo-cristiano, con l’obiettivo di rifondare eticamente ogni forma dell’agire ecologico. Le sfide ecologiche di oggi sono complessi “segni dei tempi”: toccano i temi importanti della vita e della morte, non solo per gli esseri umani ma anche per il pianeta nel suo insieme, e costituiscono un locus theologicus cruciale, in cui si rivela un incontro con Dio che trasmette potere e vita. Occorre accreditare in modo nuovo, con la novità del vangelo, la prospettiva ecologica per stabilirla su più resistenti fondamenti, darle cioè nuovi e ulte riori motivi di esigibilità e responsabilità etica. Difatti, «immaginare una ecologia umana è possibile quanto più il cuore del kèrygma cristiano — incentrato sulla benedizione di Dio Padre in Gesù crocifisso che effonde lo Spirito dell’amore su tutte le creature — verrà accolto, diventando coscienza diffusa e mentalità acquisita, innervando un rinnovamento nell’ethos umano in tutto il pianeta, una radicale metanoia dell’atteggiamento culturale degli uomini, invertendo la rotta del moderno antropocentrismo prometeico, in nome di un antropocentrismo agapico e comunionale perché teologicamente fondato sulla rivelazione del mistero trinitario di Dio» (è la tesi di fondo sostenuta e criticamente argomentata in A. Staglianò, Il principio creazione tra filosofia e teologia: oltre l’antropocentrismo? in La creazione e l’uomo, Messaggero, Padova, 1992, pagine 29-66). Da qui l’invito «a cercare soluzioni non solo nella tecnica, ma anche in un cambiamento dell’essere umano, perché altrimenti affronteremmo soltanto i sintomi» (Laudato si’, 9). Come la “verità poietica” istituisce il «fare competente», la “verità etica” istituisce l’«agire umano», cioè la libertà morale. L’uomo non è soggetto soltanto del fare; egli è soggetto primariamente dell’agire.

Ciononostante ci sono segnali di speranza che «ci invita a riconoscere che c’è sempre una via di uscita, che possiamo sempre cambiare rotta, che possiamo sempre fare qualcosa per risolvere i problemi» (Laudato si’, 61).  Infatti, assistiamo al fenomeno che anche la secolarizzazione si sta finalmente secolarizzando: questo non significa automaticamente che si stia realizzando il ritorno di Dio, come qualcuno ha ipotizzato, ma che la si sta smettendo di ripetere che la religione così come la morale sia cosa del passato. Papa Francesco riprende e rilancia il messaggio di frate Francesco con l’obiettivo di «proporre una sana relazione col creato come una dimensione della conversione integrale della persona» (Laudato si’, 218).

Ecco allora il nostro impegno a ricentrare la speranza come profezia del futuro di Dio, dischiuso dalla Pasqua di Cristo. La fede ci spinge a includere il complesso mistero del mondo riconoscendo nella natura fisica l’espressione dell’azione creatrice di Dio. Lo mostra in modo stupendo Gesù quando richiama la cura che Dio ha per il creato e ci ricorda che il Padre celeste non dimentica nessuna delle sue creature. I numeri 96-98 della Laudato si’ descrivono l’armonico rapporto di Gesù con il mondo. La fede in Cristo cioè concede la possibilità di svestire la realtà come casa delle relazioni d’amore, che salpano dal Padre e ci pervengono e ci appassionano.

Tutto l’impegno cristiano è sotto la promessa di questo futuro e da esso attratto e dinamizzato: «Noi ci affatichiamo e lottiamo perché speriamo nel Dio vivente» (1 Timoteo, 4, 10). Il cristiano attinge alla speranza in Dio il «perché», la carica cioè di senso e di motivazione per la fatica e la lotta. Tutt’altro che motivo di fuga dal mondo e di proiezione nel cielo — come una certa ascetica ha lasciato credere e i maestri del sospetto hanno denunciato — la speranza in Dio è la fonte del più sofferto ed esigente impegno per il mondo. Il futuro della speranza, nel suo avvenire, muove come impegno attestatore di tutta la libertà cristiana: questa è testimonianza incoativa e figurativa del futuro di Dio. Adoperarsi per la promozione umana e l’umanizzazione del mondo, affaticarsi e lottare per una città dell’uomo più armonica nella giustizia, nell’amore e in pace col creato, significa essere testimoni reali e convincenti di quel regno di verità e di vita, di santità e di grazia, di giustizia, di amore e di pace annunciato e atteso nella speranza. Nelle sfide ecologiche attuali e importante anche indicare quello che potrebbe essere chiamato “colonialismo epistemologico”, che consiste nella convinzione che si possa rispondere alla crisi attraverso ciò che abbiamo definito il miscuglio tradizionale di approcci scientifici, tecnologici, economici, politici e militari.

Attraverso una lucida e serrata critica all’antropologia contemporanea terremotata dalla crisi ecologica, Laudato si’ prova a inserire il discorso sull’uomo nel più vasto orizzonte ermeneutico della dottrina ecologica della creazione. Se in passato, per l’antica impostazione teologica, il problema dell’uomo e della creazione era l’incognita di come conoscere Dio a partire dalla creazione stessa, ora, in base agli sviluppi della nuova impostazione sollecitata dalla sfida ecologica, la questione riguarda, invece, la possibilità di conoscere la natura a partire da Dio. È il nuovo atteggiamento mentale e pratico che Laudato si chiede di assumere dinanzi al mistero di Dio e dell’uomo.

Laudato si’, dunque, attraverso un paziente confronto con la cultura contemporanea, attingendo alla letteratura scientifica senza preclusioni di sorta — «Se si vuole veramente costruire un’ecologia che ci permetta di riparare tutto ciò che abbiamo distrutto, allora nessun ramo delle scienze e nessuna forma di saggezza può essere trascurata, nemmeno quella religiosa con il suo linguaggio proprio» (Laudato si’, 63) — considerando e in parte accogliendo le opinioni di ogni provenienza, giunge ad alcune conclusioni ragionevolmente sostenute che smentiscono la “condanna capitale” cui troppo frettolosamente giungono molti detrattori che oggi vanno per la maggiore, e si offre come un nuovo sguardo, che interpella tutti noi a fare un passo in avanti nella conversione ecologica (cfr. Laudato si’, 216-221).

di Francesco Savino
Vescovo di Cassano all’Jonio