PER LA CURA DELLA CASA COMUNE
L’esempio del monachesimo per la custodia del Creato

Tesoro da attingere a piene mani

Monastero Aghia Triada in Grecia
03 ottobre 2020

Il magistero di Papa Francesco in questi anni è diventato una sorta di voce del “risvegliante”. La sua testimonianza quotidiana rasenta infatti la “transverberazione”, o meglio, un invito all’umanità a congiungersi in toto a Cristo. Perché pare che gli abitanti del mondo a ogni latitudine abbiano disimparato ad ascoltare Dio. Cinque anni fa, con la pubblicazione della lettera enciclica Laudato si’, Papa Francesco ha ridestato le coscienze dal torpore dell’egoismo per ricordarci che a proposito del pianeta — la nostra casa comune — oggi «dobbiamo rifiutare con forza che dal fatto di essere creati a immagine di Dio e dal mandato di soggiogare la terra si possa dedurre un dominio assoluto sulle altre creature» e indiscutibilmente condannare «lo sfruttamento selvaggio della natura» (Laudato si’, 67). Ora, nello scorrere dei giorni del Tempo del Creato — dal 1° settembre, Giornata mondiale di preghiera per la cura del creato e cinquantesimo anniversario del Giorno della terra, al 4 ottobre, festa di san Francesco d’Assisi) — è d’uopo ribadire che «il mondo è stato creato per la gloria di Dio» (concilio Vaticano i, Costituzione dogmatica Dei Filius, 1870).

A riconoscere che tutto ciò che esiste è opera di Dio ce l’hanno insegnato in modo eccelso nei secoli, per cura, tutela e dedizione, gli ordini monastici, scegliendo talvolta luoghi impensabili dove erigere le sedi delle comunità, basti immaginare — ad esempio — il complesso della Sacra di San Michele, collocata in cima al monte Pirchiriano in Piemonte, l’abbazia di Montecassino nel Lazio, oppure i monasteri delle Meteore in Grecia, situati sulla sommità di pilastri rocciosi a 400 metri di altitudine. «Il monachesimo cristiano fin dalle origini ha scelto un luogo particolare in cui collocarsi — spiegano le monache benedettine del monastero Mater Ecclesiae di Isola San Giulio - Orta (Novara) — ovvero il deserto, di cui le isole o le selve boscose sono state in Occidente la trasposizione. Qui la solitudine e il silenzio avrebbero favorito l’incontro con Dio, la preghiera e la possibilità per l’uomo di diventare veramente se stesso: figlio nel Figlio. Il monaco, amator loci, si lega profondamente al luogo in cui il Signore lo chiama a dispiegare la sua avventura di grazia». E ancora: «Per san Benedetto, infatti, il voto di stabilitas loci sottolinea l’interazione fra la vita monastica e il lembo di terra che diverrà per il monaco la porta del Cielo. Oggi si parla spesso del degrado che l’egoismo dell’uomo opera sulla nostra “casa comune”» e si può dire «che quando l’uomo invece si impegna in un cammino di conversione diventa amico della natura, la custodisce, la valorizza fino a trasformare il deserto in giardino, i luoghi impervi in ridenti paesaggi, trasparenza della bellezza del loro Creatore. La nostra Isola per esempio — osservano le monache benedettine — era davvero inospitale e con gli edifici in rovina: ora nessuno lo immaginerebbe. È divenuta un luogo che parla della presenza di Dio e della sua bellezza».

La storia della Chiesa offre innumerevoli testimonianze — di Papi, santi, beati e semplici fedeli — di amore e convivenza nel rispetto assoluto dell’ambiente circostante scegliendolo e rispettandolo per la gloria di Dio e nient’altro. Le montagne e le valli sono luoghi di ristoro dell’anima e nella loro bellezza si cela il mistero di Dio. Gesù Cristo, che rivela e manifesta la bellezza del Padre, afferma: «Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro» (Matteo, 6, 26-29). Anche il cardinale Carlo Maria Martini trascorreva sovente il periodo estivo sui monti della val Formazza, in Piemonte, per avere l’opportunità di vivere in stretto contatto con il creato. Papa Pio XI (Achille Ratti), prima di salire al soglio di Pietro amava scalare il Monte Rosa (1894); Paolo VI, nella veste di arcivescovo di Milano, negli anni Cinquanta visitò l’isola di San Giulio, sul Lago d’Orta. Il Papa emerito Benedetto XVI, per vivere un’esperienza di spiritualità e di vicinanza al creato, era solito recarsi a Les Combes, in Valle d’Aosta, sulle orme del suo predecessore Giovanni Paolo II. Il beato Contardo Ferrini (1859-1902), grande camminatore, amava inerpicarsi sopra i monti del Lago Maggiore (sponda piemontese), per assaporare l’ebbrezza dell’alba scrutando la massiccia mole della montagna.

In ogni caso il cristiano coscienzioso in questo modo attinge a piene mani dal tesoro del creato, determinando un arricchimento per sé e per la comunità. «Il più vasto e libero orizzonte e la più ampia e silenziosa volta stellata dal culmine di un’alta collina — sottolineano i monaci della comunità dei SS. Pietro e Paolo di Germagno (Verbania) del priorato benedettino della Congregazione sublacense cassinese — e la più chiusa valle ombreggiata da secolari alberi e il più profondo e più lontano frammento di stelle: “deserti” sempre scelti dai monaci d’Europa per le loro abitazioni, per la loro ricerca di se stessi e di Dio». In tutti i casi, a «seconda delle possibilità, una terra coltivata per i frutti dell’orto e i fiori per l’altare, per vigne spaziose ed estesi frutteti, per pascoli e spighe. Tra gli alberi e i prati della valle o sulla nuda vetta della collina, ecco la pietra, il mattone, più di recente il cemento per dare forma armonica alla Chiesa e alla casa, per l’Ospite e gli ospiti, monaci e monache, pellegrini e passanti». Comunque la cura «della terra e della sua bellezza, della sua fecondità per il corpo e l’anima, guida la creatività e il lavoro di queste donne e uomini che fanno del creato, del visibile, la via privilegiata per la scoperta del volto e per l’incontro con l’invisibile, cercando l’unità tra quanto vedono gli occhi di carne e quello che intravedono, con maggior sicurezza, gli occhi del cuore. Insieme, tutti insieme, mondo di relazioni nuove, di nuova umanità, quella sognata da Dio all’origine, quella compiuta dal Cristo nella pienezza dei tempi, quella nuovamente affidata a noi nella forza soave dello Spirito». La virtù dell’uomo — diceva san Giovanni Crisostomo — «sta infatti nel pensare e vivere rettamente davanti a Dio e in mezzo agli uomini», perché possiamo concludere che il mondo non è un càos ma un kósmos, armonioso e ordinato.

di Roberto Cutaia