L’azione della Caritas in Algeria durante la pandemia

Solidarietà senza religione né passaporto

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20 ottobre 2020

«La dimensione interreligiosa è inseparabile dalla missione specifica della Chiesa in Algeria e quindi della Caritas del paese. Il gesto offerto da cristiani e musulmani di lavorare insieme al servizio di tutti, a cominciare dai più vulnerabili, nella nostra casa comune, è il cuore della missione di Caritas Algeria nonché vocazione specifica della Chiesa in Algeria. Questa relazione a lungo termine è luogo di incontro e di “convivenza pacifica”, un luogo in cui si costruisce ed esercita la “fratellanza umana” (cfr. Documento di Abu Dhabi) che è al centro della missione della Chiesa»: lo ha voluto sottolineare monsignor Jean-Paul Vesco, vescovo di Oran, in una lettera che riassume l’impegno nel Paese nordafricano dell’organizzazione caritativa, particolarmente attiva nei mesi scorsi per l’emergenza coronavirus.

«In questi tempi di pandemia globale, le situazioni di precarietà sono notevolmente peggiorate — si legge nel documento pubblicato dal sito internet della Chiesa locale — e la Caritas Algeria, grazie alla solidarietà delle Caritas di altri paesi, e in collegamento con altri attori nazionali e internazionali di solidarietà, ha potuto venire in aiuto di un numero significativo di persone mediante l’approvvigionamento di derrate alimentari di prima necessità». Questa solidarietà «non ha né religione né passaporto, fa eco a una parola che risuona in tutti i cuori giusti: “ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito” (Matteo , 25, 35-37)».

Attenta alle mutevoli esigenze della società, Caritas Algeria agisce in tutti i settori possibili, ribadisce il presule, religioso domenicano. In particolare, cerca di «cambiare il modo in cui guardiamo alle differenze culturali e religiose promuovendo la diversità sociale e il dialogo tra culture e religioni», «promuovere la cultura in tutte le sue forme espressive (arti plastiche, teatro, letteratura)», «prestare  attenzione alla situazione delle donne offrendo loro, in particolare, spazi di espressione, responsabilità, incontro, creatività, realizzazione personale». Altri campi di azione della Caritas nel Paese sono l’istruzione dei bambini e dei giovani, «migliorando la loro assistenza e formando gli educatori, in uno spirito di apertura e di autonomia delle persone», e l’aiuto alle persone con disabilità, offrendo cure nel caso siano mancanti nelle strutture sanitarie locali, formando professionisti e sostenendo le famiglie. Compito dell’organizzazione cattolica è anche di essere al fianco dei migranti nel loro pericoloso percorso migratorio aiutandoli a preservare la loro dignità umana, e più generalmente di chi vive in una delle tante forme di povertà, «con attenzione fraterna».

La lettera del vescovo di Oran è altresì occasione per ricordare la «situazione del tutto speciale» della Chiesa cattolica in Algeria: «La sua presenza è molto modesta dal punto di vista numerico e sociologico e tuttavia rimane significativa perché gode di un reale riconoscimento da parte delle autorità e della fiducia di molti attraverso il suo storico e ben noto impegno al servizio della salute, dell’istruzione e della carità, soprattutto al momento dell’indipendenza della nazione. La sua dimensione diaconale, o di servizio, è dunque al centro della sua particolare testimonianza».

L’esperienza cristiana nei tempi di coronavirus è anche evocata nell’ultimo numero del periodico «Rencontres», pubblicato dalle quattro diocesi della Chiesa cattolica in Algeria. In un editoriale intitolato Vivere con Maria la nostra fragilità in un tempo di incertezza , l’arcivescovo di Alger, monsignor Paul Desfarges, commenta che, «senza risparmiare nessuno, la pandemia ci ha resi tutti ugualmente vulnerabili, tutti ugualmente esposti. E mentre qua e là l’epidemia rallenta e altrove sembra riprendere, gli esperti ci avvertono che dovremo convivere con il covid-19. E non ne stiamo ancora valutando tutte le conseguenze economiche e sociali». Il presule esorta a non cedere alla paura e a non rassegnarsi e raccomanda: «Non viviamo come persone senza speranza. Preghiamo più volte al giorno, con le parole di Gesù: “Sia fatta la tua volontà”».

L’arcivescovo di Alger  chiama infine i cristiani a «continuare a imparare dalla beatitudine della fragilità», che «ci rende attenti ai bisognosi e ci spinge ad aiutarli», ci conduce ad accogliere la vita come «dono meraviglioso», a «vivere il presente, l’oggi, come un tesoro, una nascita». Una beatitudine, conclude Desfarges, che «non va dimenticata troppo in fretta mentre ricominciamo a riunirci per pregare insieme, a svolgere alcune attività e a sperare nel ritorno a una vita “normale”».

di Charles de Pechpeyrou