I canti per Ognissanti del gesuita Friedrich Spee von Langenfeld

Una valle (non di lacrime)

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30 ottobre 2020

La festa di Ognissanti, celebrata inizialmente solo come ricordo di tutti i martiri, ebbe origine, come tante altre, nell’Oriente Cristiano tra il IV e il V secolo. Passò poi a Roma nel vii e si estese al ricordo di tutti i santi, martiri o no. Solo nella prima metà del ix secolo però ebbe la sua collocazione definitiva al 1° novembre.

Tra i canti devozionali a essa ispirati spicca una bella lauda nel primo volgare italiano, riportata dal duecentesco Laudario di Cortona. «Facciamo laude a tutt’i santi, colla Vergene maggiore, de buon core cum dolze canto, per amor del creatore» dice il ritornello. L’invito alla lode costituisce il motivo di fondo anche nelle quattro strofe di cui essa consta. I santi fanno corona a Dio, re ed imperatore dell’universo; per sua grazia e spirito essi reggono il mondo ed a loro si chiede la pace e una grande grazia: che tutti gli uomini dicano «Ave» alla «Vergene de’ santi». Ella è la chiave della porta celeste, la stella che illumina la notte per gli erranti e a lei guarda «tutta la celestial corte a tutte l’ore». Maria è quindi il compendio di ogni santità. La semplice melodia in ottavo modo fece raggiungere grande popolarità a questo grazioso canto.

Un canto tedesco per Ognissanti, ancora in uso, è dovuto al gesuita Friedrich Spee von Langenfeld (1591–1635). La figura di questo religioso spicca nella storia del Seicento tedesco per un grande meritò: nel celebre volume Cautio criminalis (1631), egli si oppose ai processi per stregoneria. Dopo d’aver confessato centinaia di donne, condannate al rogo con l’infamante accusa, si era convinto dell’innocenza di esse e nella sua opera contestò la validità delle loro ammissioni di colpa, estorte con la tortura in un clima spirituale tale, da distruggere ogni capacità psicologica di resistenza. Inoltre, precedendo di quasi un secolo la teorizzazione degli illuministi egli propose quella che oggi è definita la «presunzione di non colpevolezza», per cui una persona può essere considerata colpevole solo dopo una sentenza che la riconosca tale; ciò comporta l’automatica esclusione della tortura, immotivata sul presunto innocente. Oggi questo principio è universalmente valido.

Le sue ardite posizioni gli procurarono ostilità di ogni genere e l’esclusione dall’insegnamento universitario a Colonia in un primo tempo. La comprensione e l’appoggio da parte del Preposito Generale dell’ordine Muzio Vitelleschi lo fecero reintegrare dopo breve tempo come docente a Treviri. Qui arrivò nel 1635 un’ondata della grande peste, che da alcuni anni devastava tutta l’Europa. Spee volle prestare volontariamente la sua opera nel lazzaretto per dare conforto e cura agli appestati: preso il contagio vi morì il 7 agosto dello stesso anno. «Maestro insigne ed esempio preclaro» viene definito oggi ed il compositore tedesco Martin Folz gli ha dedicato l’oratorio Il profeta.

La canzone da lui composta inizia «Voi tutti amici di Dio, glorificati nell’alto del regno dei cieli, otteneteci da lui grazia e misericordia». A questa prima quartina ne seguono altre cinque intercalate da una terzina che funge da ritornello «Aiutateci in questa valle terrestre, perché, mediante la grazia ed il volere di Dio possiamo tutti arrivare al cielo». Nelle strofe successive è invocata per prima Maria; a lei fanno corona le schiere degli angeli e tutte le creature celesti. Poi sono evocate le varie categorie dei santi: i patriarchi, i profeti, gli apostoli, i martiri, coloro che con la loro vita hanno professato la grandezza del Signore, la schiera delle vergini e le altre donne che hanno servito Dio. A tutti i fedeli cristiani chiedono d’intercedere presso la Santissima Trinità per essere liberati dalle pene di questo mondo.

Come il precedente anche questo canto è un’invocazione ai santi, visti come intercessori presso Dio. È interessante notare che il concetto di «valle terrestre» non è accompagnato dall’abituale riferimento alle lacrime. Pur nel tragico periodo della Guerra dei Trent’anni il poeta riesce a vedere in modo positivo il mondo. La festosa e insieme enfatica melodia in fa maggiore, era già preesistente al testo e risale al 1537. A comporla era stato il domenicano Michael Vehe, autore della prima raccolta cattolica di canti religiosi successiva alla Riforma. Oggi la canzone di Spee, riportata nel repertorio Gotteslob, è ancora molto popolare e la si esegue normalmente per la festa di Ognissanti.

di Benno Scharf