Contributo delle diocesi italiane all’istruzione in tempo di pandemia

La scuola in parrocchia

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30 ottobre 2020

Da settembre migliaia di parrocchie hanno messo a disposizione le loro strutture per garantire l’inizio dell’anno scolastico con la didattica in presenza. Altre erano pronte ad aprire le porte entro l’anno. Tuttavia, per contrastare l’aumento costante dei contagi, ora il Governo italiano ha deciso che almeno il 75 per cento delle lezioni nelle sole scuole superiori deve svolgersi con la didattica a distanza. A pagare più di tutti saranno i giovani con disabilità. Ai più piccoli, invece, che oltre alle nozioni hanno bisogno di un’educazione ai valori, per ora è garantito il rapporto faccia a faccia con l’insegnante e con i compagni. Sotto questo aspetto è fondamentale il supporto dato da centinaia di diocesi italiane. Tra Milano e Roma sono quasi duemila gli alunni che hanno iniziato l’anno scolastico in un’aula. Lo stesso accade per decine di ragazzi e ragazze che vivono in comunità più piccole nelle diocesi di Monreale e di Tricarico. Tante stanze e saloni, invece, sono rimasti inutilizzati dagli istituti, come a Venezia e a Firenze. Per questo motivo la mappa nazionale di chi ha concordato l’utilizzo gratuito degli spazi appare a macchia di leopardo, distribuita in modo irregolare sul territorio. Anche se attualmente i recenti lockdown locali preannunciano la fine di questa bella esperienza delle scuole in parrocchia.

La diocesi di Roma è stata tra le prime a firmare un accordo con le scuole. Da luglio 50 parrocchie su 335 hanno messo a disposizione i propri locali. Oggi vi sono tredici fra chiese e istituti religiosi che ospitano circa 1300 studenti appartenenti a due istituti superiori (ora in didattica a distanza) e a dodici tra scuole dell’infanzia e primarie. A San Policarpo, don Giuseppe Castelli, parroco e vicedirettore dell’Ufficio scolastico diocesano, ospita oltre cento bambini di quattro classi elementari. «Alcune stanze erano piccole — racconta il sacerdote — quindi due classi sono state suddivise in altrettanti gruppi e sono servite quattro aule. In più hanno una stanzetta utilizzata come aula-covid. La scuola sanifica i locali prima dell’ingresso dei ragazzi e li riconsegna alla parrocchia. Così gli stessi spazi vengono utilizzati per le attività dell’oratorio e del catechismo, come previsto dal protocollo di intesa tra Vicariato di Roma, Ufficio scolastico regionale e il Comune di Roma. Anche il Pontificio istituto maestre pie Filippini, in cui un’ala della struttura era inutilizzata, oggi ospita 254 alunni del vicino istituto comprensivo «Ovidio». Si tratta di decine di ambienti, dislocati su tre piani. In questo caso la promiscuità tra vita religiosa e scolastica viene scongiurata e i ragazzi accedono all’edificio attraverso entrate dedicate. «Siamo nate per la formazione dei giovani — dicono dall’istituto — e così abbiamo cercato di aiutare come meglio potevamo. Per il bene dell’umanità, della società e dei ragazzi».

Nell’arcidiocesi di Milano il direttore diocesano della pastorale della scuola, don Fabio Landi, spiega a «L’Osservatore Romano» che sono circa 15 su 1104 le parrocchie che attraverso il suo ufficio hanno stipulato un concordato. «Tra l’altro non sempre riguardano i locali, ma anche l’utilizzo degli spazi esterni. Per esempio, un campo per fare scienze motorie», precisa, come accade nella chiesa di Santa Francesca Romana. Altre volte un locale è adibito a mensa scolastica, come succede per la parrocchia dei santi Quirico e Giulitta, a Locate Varesino, su richiesta di una scuola primaria: «Ci sono esigenze abbastanza diverse tra istituti dell’infanzia e superiori», continua don Landi. Inoltre, a seconda dei casi, l’utilizzo degli spazi non è esclusivo, mentre in altre situazioni le parrocchie si sono riorganizzate per evitare la promiscuità con le attività pastorali e la catechesi. Invece, la presenza di tre grandi saloni ha permesso al parroco della chiesa Mater Amabilis di Milano, don Renato Fantoni, di compiere una scelta opposta con spazi che la mattina ospitano settantadue alunni di tre classi di una scuola secondaria di primo grado, mentre la sera vengono usati per le attività pastorali.

Nell’arcidiocesi siciliana di Monreale sono oltre una decina le parrocchie che hanno offerto i loro spazi alle scuole. Tra queste c’è la cattedrale di Santa Maria Nuova, ma anche un campo sportivo a Partinico e l’Opera pia Benedetto Balsamo il cui presidente, monsignor Michele Pennisi, arcivescovo di Monreale e delegato dell’episcopato siciliano per l’educazione cattolica, spiega che «nei centri piccoli c’è addirittura un esubero di aule. Anche i comuni hanno messo a disposizione alcune strutture». Infatti, a Malpasso, frazione alle porte di Palermo, il giovane parroco della chiesa di San Giuseppe, don Giovanni Vitale, racconta che un salone è utilizzato per mezza giornata da una trentina di bambini appartenenti a tre classi della scuola dell’infanzia. In questi giorni sta per iniziare il catechismo e il sacerdote spera che si possa fare in presenza, magari nel fine settimana per non creare contemporaneità con l’istituto, sempre che la pandemia lo permetta.

Nella diocesi di Tricarico, in Basilicata, su diciannove comuni solo a Calciano una parrocchia ha ceduto alcuni spazi a un istituto comprensivo, dice don Giuseppe Abbate, referente dell’ufficio regionale per le comunicazioni sociali. Un aiuto importante che non ha evitato la chiusura della scuola decisa dal sindaco a metà ottobre per sanificare gli ambienti ed eseguire i tamponi. A Firenze, invece, ad agosto il cardinale arcivescovo Giuseppe Betori, insieme al comune, ha selezionato 5 strutture su 304 parrocchie da affidare agli istituti. A oggi nessuno ne ha usufruito. A novembre una chiesa di Campi Bisenzio, alle porte del capoluogo toscano, avrebbe offerto due sale appena messe a norma a un istituto comprensivo, ma l’accordo sfumerà a causa del covid-19. Anche il patriarcato di Venezia, nonostante abbia messo a disposizione gli spazi degli oratori, non ha sottoscritto alcun concordato.

In tre mesi la macchina organizzativa era stata ben oliata. L’utilizzo degli spazi è disciplinato da un accordo che prevede l’uso gratuito dei locali da parte degli istituti, che si fanno carico della sanificazione, la stipulazione di un’assicurazione e la realizzazione di piccoli lavori. Da metà settembre i locali delle parrocchie si sono trasformati in vere e proprie succursali scolastiche, mentre al pomeriggio molti di quegli stessi studenti tornano in chiesa per l’oratorio e il catechismo. Oggi la didattica a distanza appare la scelta obbligata per tutti in caso di progressione incontrollata della pandemia. La presenza delle scuole in parrocchia è molto gradita a parroci e famiglie — raccontano gli intervistati — che si sentono accolte e ringraziano. È un’esperienza che sta rafforzando il contatto con la Chiesa. «Innanzitutto è un aiuto concreto rispetto all’esigenza di spazio», riflette don Giuseppe Castelli, poi «c’è la forza di un segno: è la Chiesa che apre le porte e che accoglie. Ma esiste qualcosa di più grande che è la collaborazione: per realizzare tutto questo, piccolo o grande che sia, ci siamo avvicinati. In questo la Chiesa è stata promotrice di incontro e di dialogo tra enti, soggetti e istituzioni che talvolta fanno fatica a parlarsi». Accade soprattutto oggi tra chi teme un nuovo lockdown e chi invece lo auspica. In tutto questo la Chiesa è al servizio delle persone. Come sempre accade dall’inizio della pandemia.

di Giordano Contu